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RITI DIONISIACI…

Lezione N.: 
3

Prof. Giuseppe Nibbi                Tragòs oidos 2003        15-16-17 ottobre 2003

RITI DIONISIACI…

   Siamo in viaggio da tre settimane nel vasto territorio della "tragedia" e da tre settimane ci stiamo domandando perché mai il termine "tragedia", formato dalle due parole greche tragos oidos, significa appunto il canto-oidos, del caprone-tragos? Quale idea, quale situazione culturale è racchiusa nel significato della parola tragedia, che cosa significa: il canto del caprone? Per capirlo ci siamo incamminati per un itinerario in cui abbiamo incontrato Orfeo, il mitico cantore, figlio di Apollo e della ninfa Calliope, e abbiamo conosciuto gli elementi fondamentali della cultura orfica. Orfeo canta con la sua bella voce (Calliope) le caratteristiche di Apollo, le virtù di Apollo di cui tutti dovremmo far tesoro e che tutti dovremmo praticare.

   L’immagine di Apollo è costantemente presente nella Storia dell’Arte e della cultura: perché? Perché richiama determinate caratteristiche. Noi che stiamo camminando sul sentiero di Dioniso, perché incontriamo Apollo? Perché Apollo e Dioniso sono due facce della stessa moneta e "audiatur altera pars", direbbe Ovidio, è necessario guardare entrambe le facce di una moneta. Sul sentiero di Dioniso dobbiamo quindi incontrare anche Apollo, ma che cosa significa incontrare Apollo? Vale a dire: che cosa rappresenta, che cosa contiene nella Stopenum il simbolo di Apollo? Una possibile risposta sta nel significato del nome: Apo-olon, Olos, olon, in greco significa funesto, dannoso, tenebroso; in greco il prefisso "apo", capovolge il significato della parola che segue, quindi: Apo-ollon è il contrario di dannoso, di funesto, di tenebroso, il contrario del danno, il contrario del buio, il contrario della morte. Di conseguenza Apollon significa vantaggio, risarcimento, dono, guarigione, vita, quindi luce, musica, profezia, medicina, ma anche punizione: una giusta, una chiara, una doverosa punizione. Il nome di Apollo viene accompagnato spesso da un secondo nome, Febo; il Febo Apollo è un rafforzativo, quindi Febos, in greco significa la luce del sole, il raggio di sole, lo splendore.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

L’espressione "raggio di sole" è ricca di significati metaforici: scrivi quattro righe in proposito…

   L’idea, il concetto dello splendore lo incontreremo per strada: c’è, infatti, un termine preciso, in greco, per definire lo splendore che dovrebbe chiarirci le idee. Apollo è, in definitiva, il simbolo della ragione, dell’equilibrio, dell’armonia, dell’euritmia.

   Per capire il significato della parola tragedia abbiamo dovuto attraversare il territorio del culto orfico, del culto di Apollo, della cultura orfica; ma proprio attraverso la cultura orfica ci siamo resi conto che non basta incontrare Apollo per capire il significato racchiuso nella parola "tragedia". Per capire il senso profondo di questo termine, tragedia che significa: il canto del caprone, dobbiamo incontrare anche Dioniso, perché Dioniso sta prima di Orfeo, prima di Apollo, prima di Zeus (sebbene Dioniso, lo si presenti come figlio di Zeus); Dioniso sta nel profondo delle cose, e senza Dioniso non ci sarebbe Orfeo, non ci sarebbe Apollo, non ci sarebbero gli dèi, e, per incontrare Dioniso, questa sera siamo sulla strada: dobbiamo dire che la strada di Dioniso è un sentiero assai accidentato, va percorso con cautela, con pazienza e con determinazione, virtù necessarie agli studenti (come dice lo Statuto degli studenti della facoltà delle arti di Parigi, posta in via degli Strami, o del Letame, n.2, anno 1247) e questa sera faremo fatica…

   Sul nostro sentiero, prima di tutto, troviamo i segni dei riti dionisiaci! E che cosa sono: i riti dionisiaci? E che cosa c’entra, con Dioniso, il canto del caprone? Questa sera, sempre in compagnia di Ovidio che ha preso il passo con noi, cercheremo, strada facendo, di dare una risposta a tante domande che emergono come problemi, come questioni culturali su cui riflettere.

   Intanto chi è Dioniso? Dioniso, o Bacco per i Latini, è un mito tra i più antichi della Stopenum, si sviluppa con la Rivoluzione del Neolitico, con i ritmi e i cicli delle attività agricole: Dioniso è il dio della vegetazione e dalla fertilità (ce lo sentiamo addosso spesso). È quindi una delle divinità più antiche, più arcaiche. Questo concetto di un dio così, nasce lontano nel tempo, si sviluppa con la rivoluzione del Neolitico, a partire da trentamila anni fa, ci dicono gli antropologi: la rivoluzione del Neolitico consiste nel passaggio (durato qualche migliaio di anni) dall’attività della caccia alle attività dell'agricoltura. Questo comporta un profondo cambiamento nella cultura dei nostri progenitori,: c'è un primo superamento del senso di paura legato all’idea che esistesse un "non-ordine", c’è un primo superamento del senso del kaos che circondava l’homo sapiens. L’homo sapiens, poco per volta, si accorge e prende coscienza dell'esistenza, nel suo corpo, nella Natura e nell’Universo dei ritmi e dei cicli: i ritmi delle stagioni, i cicli della fecondità: il kaos nasconde un ordine che va interpretato. L’homo sapiens prende coscienza del fatto che l’esistenza è basata su una periodicità che si ripete. E il concetto del ritmo, del ciclo, dalla Natura entra nella Cultura: l’anno delle stagioni della Natura diventa liturgico, ai ritmi e ai cicli naturali si fanno via via, corrispondere riti, cerimonie, culti (culture, racconti) che si ripetono periodicamente e si consolidano. L’idea del ritmo, del ciclo presuppone l’idea del ritorno, e l’idea del ritorno presuppone l’idea dell’attesa: l’idea dell’attesa, ci dice l’antropologia culturale, fa nascere il senso della speranza (in greco elpis), un aspetto che continua ad essere fondamentale nella nostra cultura umana.

   Il concetto di Dioniso corrisponde a tutto questo paesaggio intellettuale. Ecco che l’antropologia culturale ci insegna un altro aspetto fondamentale della rivoluzione del Neolitico (oltre il divieto dell’incesto), la possibilità di superare il senso della paura con il senso dell’attesa, di superare il sentimento di disperazione con il sentimento della speranza: anche questa è cultura dionisiaca…

   Questi sentimenti (queste parole-chiave): paura, bisogno, ritmo, ciclo, attesa, speranza, che continuiamo a coltivare dentro di noi, sono gli elementi culturali più antichi, più profondi: Dioniso è il personaggio mitico che rappresenta questi sentimenti, che noi possediamo (li abbiamo ereditati) e che, probabilmente, ci dicono gli antropologi, ci fanno andare indietro di circa un milione di anni.

   Un momento di riflessione è necessario: il provare sentimenti legati alla paura, al bisogno, al ritmo, al ciclo, all’attesa, alla speranza, è un esercizio che ci allarga la vita. E allora riflettiamo: allarghiamoci la vita! Che un itinerario di studio serve a questo, serve soprattutto a questo; ma allargarsi la vita che cosa significa? Significa fare spazio a interessi culturali (non è poco) perché fare spazio a interessi culturali contribuisce notevolmente a dare un senso alla vita, ad evitare la nausea.

   La trasformazione epocale della rivoluzione del Neolitico, lo abbiamo detto più volte, crea i recinti: le attività agricole e dell’allevamento richiedono la recinzione di spazi, anche di spazi mentali; soprattutto si recinta la fecondità, vista come potere e considerata come potenza, quindi: si recinta la vita delle donne, ma si innesca anche una reazione, nella società, nei confronti dei recinti: chi sta nel recinto sente la necessità di guardare al di là della recinzione e impara a vedere e a immaginare più cose di chi impiega tutte le sue energie a custodire il recinto. Dal confronto tra esseri umani recintati e custodi del recinto si sviluppa una tradizione culturale che va dallo scontro tra i sessi, alla conflittualità tra generazioni diverse, fino alle lotte contro le istituzioni ingiuste.

   Il concetto di Dioniso ha rappresentato soprattutto l’opposizione a un ordine costituito che si rivela spesso ingiusto; l’idea di un dio che trasgredisce nasce come risposta "irrazionale" contro il potere delle istituzioni rigide. Ma, via via, nel corso della storia, succede che anche questa risposta "irrazionale, eversiva", viene elaborata dal sistema di potere. Viene regolamentata anche l’eversione, che si liturgizza, e subisce un processo di istituzionalizzazione di carattere religioso: le lotte diventano rito, si trasformano in un culto simbolico, vengono create e concesse metafore sostitutive. Dioniso è il dio dell'eccesso e dell'infrazione, diventa, nell’anno liturgico primordiale, il dio dell'uva e del vino, quindi della trasgressione rituale, dell’ubriacamento sotto forma di rito (la sbornia del dì di festa, lo sballo del sabato sera), quindi: tutto questo diventa un culto (con tanto di vittime immolate: passo a folle velocità nella notte col semaforo rosso in stato di esaltazione! Sarebbe meglio parlare di più di Apollo e Dioniso! Non vi pare?). Secondo l'etimologia della parola, Dioniso significa letteralmente: colui che rompe ogni barriera tra la ragione e l’istinto. La sua immagine è quella di un dio ebbro e folle, che spinge i fedeli alla dissolutezza, all'inselvatichimento, anche alla violenza, e all'orgia (da orgέ orgè, passione), la manifestazione collettiva delle passioni.

   In che cosa consiste il rito dionisiaco? Il rito dionisiaco consiste in grida disordinate, consiste nel delirio (delirein-liris: delirein delirein-uscire, liris liris-dal solco: delirare è, in greco, uscire dal solco).

   Il rito dionisiaco consiste nell'esaltazione, consiste nella follia (follis-il mantice). Fanno parte del rito dionisiaco il travestimento e la maschera. È un rituale che sconvolge le leggi, i costumi, le gerarchie sociali. Dioniso è l'unico dio che ammette le donne e gli schiavi ai suoi riti. Le donne sono chiamate, nel culto di Dioniso, menadi (menadein menadein-urlare, esaltarsi), ed essendo escluse da ogni forma di potere nella società, trovano (viene concesso loro) nel Dionisismo uno spazio per rivendicare, con questo culto della follia, il loro essere presenti. Tutta questa situazione "anomala, folle" non è fine a se stessa. I riti di Dioniso hanno lo scopo di far rivivere un mito, un rito rigeneratore: si urla, si va in delirio, ci si esalta collettivamente per scaricarsi e rigenerarsi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

     Non siamo forse circondati da riti dionisiaci non riconosciuti come tali? Forse sarebbe necessaria una riflessione culturale collettiva su questo tema: scrivi quattro righe in proposito…

    Che cosa racconta il mito di Dioniso? Il mito di Dioniso è di una complessità notevole perché, legati a questo mito, ci sono decine di altri miti, collegati insieme sotto forma di una rete in greco archis archis di racconti. che cos’è la cultura greca, la cultura classica (sul gradino più alto)? La cultura greca è una sofisticata rete di racconti: logosarchis, archisepos, mytosarchis. prendiamo atto dell’importanza del fenomeno del raccontare: in greco il verbo raccontare si dice légo, radice del verbo lègere. La parola-chiave racconto è tra quelle più antiche della storia della cultura, e a mano a mano che procediamo nel nostro cammino, ci troveremo a definire sempre meglio questo concetto. Intanto dobbiamo dire che, in greco, ci sono tre parole-chiave che dobbiamo conoscere: logos logos, epos epos, mytos mytos, che significano, ciascuno di loro, contemporaneamente: parola, discorso, racconto.

   Che cosa racconta il mito di Dioniso? Per essere esaustivi ci vorrebbe un Percorso intero solo sul mito di Dioniso. Abbiamo a nostra disposizione tanti materiali interessanti, difficili da leggere, ma non inavvicinabili (sono da legere multum: frammenti da leggere con attenzione). Teniamo conto del fatto che, ora, non è possibile né leggere né raccontare tutto. E’ possibile raccontare alcune trame importanti e praticare il legere multum su alcuni frammenti di testi significativi, questo per esercitarci a capire: vi ricordo che stiamo viaggiando in compagnia di Ovidio, di cui sappiamo tutto, e de Le Metamorfosi di cui conosciamo alcune caratteristiche fondamentali. Sappiamo, per esempio, che Le Metamorfosi sono difficili da leggere, ma, è proprio per questo motivo che ci troviamo su un sentiero di didattica della lettura e della scrittura.

   Ascoltate la prima trama che ci propone Ovidio. Istruzioni per l’uso: non vi preoccupate se non ricordate i nomi (difficili) dei personaggi, i nomi dei luoghi (li ritroverete, ci sono tanti testi da leggere con calma) l’importante è cogliere la struttura narrativa del racconto, come dicono gli esperti di letteratura, l’importante è cogliere il modello formale: è l’officina del racconto che interessa non tanto il prodotto finito, anche perché non c’è un "prodotto finito" nel racconto mitico: il processo di elaborazione del logos, dell’epos, del mytos continua, è sempre in evoluzione e noi dobbiamo contribuire, con la nostra scrittura all’evoluzione del mytos.

   Ascoltate dunque, la prima trama che ci propone Ovidio per rispondere alla domanda chi è Dioniso e che cosa c’entra Dioniso con il canto del caprone? Questo racconto ha inizio sulle coste della Fenicia, sulle spiagge davanti alla città di Sidone: la città è governata dal re Agenore e da sua moglie, la regina Telefassa. Essi hanno due figli, un figlio, maggiore, che si chiama Cadmo e una figlia, minore, una giovane fanciulla di nome Europa. Questa è una fanciulla bellissima, atletica, creativa: Zeus la vede ed è attratto da lei. E qui (vi ho detto che il terreno è accidentato!) dobbiamo subito interrompere il racconto per fare un inciso, perché qui incontriamo Zeus, il maggiore degli dèi: chi, che cosa sarà mai questo Zeus? Zeus è un mytos (allora mettiamo in pratica quello che abbiamo studiato ora), è una parola simbolica, è un discorso orale tramandato, è una rete di racconti: questo significa essere un logos, un epos, un mytos! Il mito di Zeus è nato e si è sviluppato sull’isola di Creta (che 2500 anni fa era un grande laboratorio culturale, che abbiamo studiato a suo tempo). Il mito di Zeus per la precisione ha preso corpo proprio al centro, nel cuore dell’isola di Creta, sul monte Ida (Óros Idi o Psiloritis, 2450 metri circa): lì ci sono tante grotte (è un terreno carsico) e c’è anche la grotta di Zeus, dove si racconta il logos, l’epos, il mytos di Zeus.

   Tutto questo apparato culturale (il mytos, il culto di Zeus) poi si sposterà, emigrerà sul continente ellenico, per la precisione nella zona del monte Olimpo. Questa diffusione dei miti cretesi avviene, ci dicono gli esperti, in seguito alle invasioni di popoli provenienti dal nord che vengono chiamati Achei, i quali invadono Creta, la conquistano ma ne subiscono l’influenza culturale: gli Achei interiorizzano i miti, li rielaborano e li esportano nella regione della Tessaglia, vasta zona agricola, a nord della quale si trova il monte Olimpo (2900 m.).

   Come viene rappresentato Zeus nel suo mytos, nella rete di racconti che lo descrive? Zeus viene rappresentato come un "grande inseminatore" (una caratteristica tipica di tutte le maggiori divinità dell’età Assiale) perché questo mito è fondato sull’idea della fecondità, sull’idea della propagazione della fertilità. L’idea della fecondità, con i suoi cicli, è l’idea portante della rivoluzione del Neolitico e via via si sviluppa con tutto il suo apparato di racconti, di regole, di norme, di riti, di cerimonie, di leggi, di istituzioni. Il mito di Zeus è un classico mito maschilista: fecondare più donne che si può, tutte quelle che s’incontrano, per conservare, più a lungo possibile, l’immortalità del patriarca.

   Ora noi non possiamo ripercorrere la cultura cretese: né quella più antica detta minoica, né quella dei cosiddetti palazzi-città o labirinti, ma se voi usate l’atlante geografico e una guida della Grecia, trovate tante notizie utili e potete preparare il viaggio tanto per il monte Ida a Creta, quanto per il monte Olimpo in Tessaglia.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

     Utilizza l’atlante geografico e una guida della Grecia e prepara il viaggio a Creta sul monte Ida e sull’Olimpo in Tessaglia…

    Quali notizie utili al viaggio puoi trovare?

    Scrivi quattro righe in proposito…

   Ma il viaggio a Creta, da preparare, è appena all’inizio e questa sera sbarcheremo a Creta con un sistema di navigazione molto singolare, ma una cosa per volta…

   Ora torniamo al nostro inciso sul mito di Zeus. Dobbiamo sapere, ci spiega Ovidio, che Zeus non si accoppiava mai né con sua moglie Giunone (Era) né con le altre dèe, a meno che proprio non fosse costretto dalle circostanze, ma stava molto attento a non fecondarle: perché questo? C’è una regola: i figli spodestano i padri e l’immortale Zeus (i miti sono immortali) sa che un figlio divino, della sua natura, gli avrebbe tolto il potere, lo avrebbe mandato in pensione. Allora Zeus preferisce accoppiarsi, non con le dèe immortali, ma con le donne mortali (quelle che piacciono a lui!) e vuole proprio fecondarle: perché i figli mortali, i figli concepiti da donne mortali, non costituiscono un pericolo per il suo potere, anzi sono fedeli in più, ai quali chiedere sottomissione, devozione e gratitudine.

   Per compiere le sue imprese amorose, per conquistare le donne mortali, Zeus ha però bisogno di umanizzarsi, di trasformarsi, di compiere una metamorfosi e, il mito di Zeus si basa su una serie di formidabili racconti di trasformazione, e Ovidio (duemila anni fa) mette in versi latini tutte queste metamorfosi adulterine di Zeus, tratte dalla più antica tradizione greca. I racconti mitici della cultura greca hanno avuto una lunga incubazione orale e cantata, poi, a frammenti, sono stati scritti e si sono propagati per il mondo. Ovidio lavora su un materiale letterario che è codificato già da cinquecento anni: interpreta questi miti, ne fa l’esegesi, in realtà non li racconta, dà per scontato che, tanto i suoi contemporanei quanto noi, li conosciamo già.

   Ovidio usa il racconto mitico a frammenti: lo usa come un continuo riferimento culturale, ma il suo obiettivo artistico non è tanto quello di raccontare, ma quello di sedurre. Ovidio vuole costruire una struttura poetica che sia sempre velata di erotismo, di sensualità: il contenuto di una storia, accattivante, deve servire per costruire dei versi affascinanti, musicali, che sappiano creare un’emozione. Difatti questi racconti, soprattutto le metamorfosi delle imprese amorose di Zeus, sono diventati simboli famosissimi, famosissimi paesaggi intellettuali e hanno incrementato la storia dell'arte e la storia della letteratura di tutti i tempi: sono diventati potentissimi modelli culturali. Per esempio:

   Zeus trasformato in Cigno per amare Leda, la quale fa due uova da cui nascono, da un uovo, Elena, e dall’altro Castore e Polluce,

   Zeus che prende le sembianze di Anfione, marito di Alcmena, per amare appunto Alcmena e nasce Ercole,

   Zeus trasformato in Aquila per amare Asteria e nascono Delo e Ortigia,

   Zeus trasformato in Pastore per amare Mnemosine e nascono le nove Muse,

   Zeus trasformato in Fiamma per amare Egina e nasce Eaco,

   Zeus trasformato in Serpente per amare Proserpina,

   Zeus trasformato in Pioggia d’oro per amare Danae e nasce Perseo, e così via…

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Chissà quanto oggetti artistici, oggetti culturali vi vengono in mente passando in rassegna questi modelli culturali!

Scrivete…

   Dunque, per Bacco, è proprio vero che il sentiero di Dioniso è accidentato, ve lo dicevo che si riesce ad andare avanti solo con cautela, con pazienza e con determinazione…

   E allora, che cosa racconta il mito di Dioniso? Ritorniamo decisamente sulla prima trama che ci propone Ovidio ne Le Metamorfosi. Il racconto, abbiamo detto, ha inizio sulle coste della Fenicia, sulle spiagge davanti alla città di Sidone, governata dal re Agenore e da sua moglie, la regina Telefassa. Essi hanno due figli, il maggiore che si chiama Cadmo e, una figlia minore: una giovane fanciulla di nome Europa. Europa è una fanciulla bellissima, atletica, creativa: Zeus la vede ed è attratto da lei. Adesso sappiamo perché e che tipo, di mito, è Zeus. In Fenicia i giovani si dedicano alle tauromachie, esercizi fisici, giochi acrobatici in cui si usano i tori nell'arena come fossero macchine ginniche: gli atleti ci saltano sopra, pericolosamente! Europa è un’appassionata di questo sport: ama saltare in corsa sulla schiena del toro, fare delle acrobazie tenendosi per le corna, è una campionessa, ama i tori e Zeus lo sa. Un pomeriggio Europa gioca alla foce di un fiume, sulla spiaggia davanti a Sidone, con un gruppo di sue compagne. Stanno raccogliendo fiori (narcisi, giacinti, violette, rose, timo) per costruire delle ghirlande per ornarsi i capelli. Ad un tratto le fanciulle si vedono accerchiate da un branco di tori: loro non li temono. Fra questi tori ce n’è uno di un bianco abbagliante, dalle corna che sembrano gemme lucenti, che si avvicina ad Europa: lei avvicina i fiori che ha raccolto al suo muso e glieli offre da mangiare; il toro li bruca e poi, tutto soddisfatto, si rovescia con la schiena nell’erba, come fosse un cagnolino: Europa si avvicina a lui ma il toro si rialza e, insieme agli altri tori, si allontana e sparisce. Europa rimane colpita e affascinata da questo avvenimento, anche perché nella notte ha fatto un sogno: ha sognato due donne che lottavano tra loro, una si chiamava Asia e l’altra non aveva nome. Europa si era svegliata, turbata, di soprassalto! Lo stesso giorno, dopo aver passato il pomeriggio con le sue compagne a raccogliere fiori, sul far della sera, al tramonto, Europa, fanciulla romantica e pensierosa, passeggia sulla spiaggia deserta: il mare è leggermente mosso; lei supera una lingua di sabbia che si protende nel mare e si trova di fronte a un ampio golfo. Che cosa vede ad un tratto? Vede quel toro, che, a nuoto, si avvicina alla riva. Agli occhi di Europa è davvero un toro di una bellezza eccezionale, mastodontico, ben modellato, bianco, con due corna lucenti e stupende. Il toro approda sulla riva e, dopo essersi scrollato l’acqua di dosso, lentamente comincia a camminare sulla spiaggia, davanti a lei, sotto gli occhi di Europa, assai sorpresa. Europa non resiste, parte di corsa verso il toro e salta su di lui, lo cavalca con grande piacere, e lo fa correre. Il toro corre corre sulla spiaggia, poi entra in acqua e nuota nuota, sempre più lontano dalla riva, in mare aperto, finché approda a Creta (La rotta, sull’atlante!…). Europa è un po' spaventata da quella traversata, ha freddo, ha fame, è preoccupata (non c’è neppure un telefono per chiamare casa, per avvertire che è in ritardo per la cena) ma sulla spiaggia di Creta, dove approda (chissà dove?) il toro-Zeus si trasforma ancora, e appare come fosse un bel pastore che accoglie Europa con molto affetto, la riscalda, la nutre, la coccola (chissà dove va a finire l’immagine di quel toro!). Lei è così affascinata da quell’avventura che non si ricorda neppure di avere una famiglia. Intanto è scesa l’oscurità e i due, Europa e il bel pastore che era un toro, che era Zeus, entrano in una graziosa capanna per passarvi la notte. Noi non entriamo nell'intimità di questo incontro, saremmo indiscreti e saremmo di troppo, ci vuol poco ad immaginare che cosa succede: è un incontro amoroso…

   Il mattino dopo Europa è rimasta sola, il pastore è scomparso, ma lei non lo sa, perché dorme tranquillamente; viene svegliata in quella stessa capanna, su quella remota spiaggia di Creta da un giovane che, guarda caso, è il figlio del re: si chiama Asterione, questo romantico fanciullo che passeggia sulla spiaggia, all'alba (come nelle fiabe): proprio su quella spiaggia. Asterione entra della capanna, vede la fanciulla addormentata, resta assai meravigliato dalla sua presenza lì (anche lui aveva fatto un sogno) e rimane subito affascinato dalla sua bellezza; la sveglia con un bacino, lei apre gli occhi, lo vede: colpo di fulmine, fidanzamento, matrimonio, e, dopo nove mesi giusti giusti, nascerà un bel maschietto, che viene chiamato Minosse. Chi è il babbo di questo Minosse?

   Ma la storia di Minosse, re di Creta (da cui prende il nome la civiltà minoica), è un'altra storia, o meglio un’altra vastissima rete di racconti: noi, questa sera, siamo sulle tracce di Dioniso e non ci possiamo soffermare su Minosse…

   E Dioniso, che cosa c’entra con Europa? Ci vuole un po’ di pazienza! Dobbiamo ascoltare la seconda trama che ci propone Ovidio. Ma a questo punto è conveniente riflettere su due cose: la prima è un legere multum, la seconda è la proposta di un altro viaggio virtuale da fare a Creta. Prima leggiamo questo mitico avvenimento del rapimento di Europa come ce lo descrive Ovidio, in versi: ci serve anche a capire sempre meglio che cos’è Le Metamorfosi e il valore letterario di quest’opera; vorrei farvi notare che se non conosciamo la struttura del racconto e non conosciamo i riferimenti culturali, mitici, che Ovidio richiama in continuazione, diventa davvero di difficile lettura La Metamorfosi di Zeus. Inoltre dobbiamo sapere che Ovidio non utilizza il racconto del rapimento di Europa tutto in una volta, ma, come sempre fa con i racconti mitici, lo spezzetta in frammenti che utilizza via via: in questo caso, troviamo Europa e il toro nel II, nel III, nel VI, e nell’VIII libro de Le Metamorfosi; questa situazione di frammentazione complica certamente la vita al lettore che non in possesso di chiavi di lettura. Leggiamo da:

LEGERE MULTUM….

 Ovidio, Le Metamorfosi Libro II

Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso, era Zeus.

Fu scosso da un brivido, come quando i tafani lo pungevano sul monte Ida.

Ma questa volta era un brivido dolce, Eros gli stava mettendo in groppa la fanciulla Europa. 

Poi la bestia bianca si gettò in acqua, e il suo corpo imponente emergeva abbastanza

perché la fanciulla non si bagnasse: videro in molti la scena.

Tritone, con la sua conchiglia sonora, rispose al muggito nuziale.

Europa, tremante, si teneva aggrappata alle corna lucenti del toro.

Li vide anche Borea, il vento, mentre fendevano le acque, malizioso e geloso,

fischiò alla vista di quei seni acerbi che il suo soffio, ora leggero, scopriva.

Atena arrossì spiando dall'alto il padre cavalcato da una giovane donna.

Anche un marinaio acheo li vide, e allibì: era forse Teti, curiosa di vedere il cielo?

O una Nereide soltanto, e per una volta vestita?

O Poseidone ingannatore che aveva rapito un'altra ragazza?

Europa intanto non vedeva la fine di quella pazza navigazione.

Ma immaginava la sua sorte, quando avessero ritrovato la terra.

E gridò un messaggio ai venti e alle acque: «Dite a mio padre che Europa ha lasciato

la sua terra in groppa ad un toro, mio rapitore, mio marinaio, mio futuro amante.

Date, vi prego, a mia madre questa collana».

Stava per invocare anche Borea, perché la sollevasse con le sue ali,

come aveva fatto con la sua sposa, l'ateniese Oritia, ma si morse la lingua:

perché passare da un rapitore a un altro?

Ma com'era cominciato tutto?

Un gruppo di ragazze giocava alla foce di un fiume, raccogliendo fiori era Europa

con le sue compagne che stavano cogliendo narcisi, giacinti, violette, rose, timo.

Ad un tratto si videro accerchiate da un branco di tori.

Fra questi, uno, era di un bianco abbagliante: le sue corna sembravano gemme lucenti.

La sua espressione ignora la minaccia, tanto che Europa avvicina i fiori raccolti

a quel muso candido: come un cagnolino, il toro geme di piacere, si rovescia sull'erba,

offre le sue corna alle ghirlande

    "Date, vi prego, a mia madre questa collana", dice Europa durante il suo viaggio: teniamo d’occhio le collane, questa in particolare (non sono le perle che fanno la collana, è il filo). Questo riferimento culturale della collana, che Ovidio usa come un filo, non ci è ancora chiaro: lo chiariremo a suo tempo, ci vuole pazienza…

   La seconda riflessione da fare riguarda la proposta di un altro viaggio virtuale, abbiamo detto, e la nostra proposta di viaggio è legata a una domanda fondamentale: dove mai, su quale spiaggia di Creta, secondo la tradizione, approda il toro-Zeus con la fanciulla che sta trasportando? Ebbene, secondo la tradizione mitica, viene indicato un luogo preciso come approdo del bianco toro traghettatore di Europa: è bene essere informati, non si sa mai! Si potrebbe sempre capitare a Creta, o con mezzi propri, oppure, chissà? Se passasse un bel toro o una bella mucca che ci caricano in groppa, ci rapiscono e ci scaricano a Creta, non si sa mai: sarà meglio essere informati e preparati! Ebbene, a parte i giochi dell’immaginario (ma esistono anche i giochi dell’immaginario), secondo la tradizione mitica, viene indicato un luogo preciso come approdo del bianco toro traghettatore di Europa: si tratta, oggi, del porticciolo di Agìa Rouméli, che si trova sulla costa a sud-ovest dell’isola. L’invito è quello di utilizzare (tanto ce l’avete già sottomano) una guida della Grecia in cui trovate sicuramente una carta dell’isola di Creta ben visibile: potete individuare sulla costa di sud-ovest il porticciolo di Agìa Rouméli. Osservando la carta vi accorgerete che il porticciolo di Agìa Rouméli non è servito via terra da una strada percorribile in auto; il porticciolo di Agìa Rouméli infatti si raggiunge da Sfakià, una piacevole e tranquilla cittadina a est di Agìa Rouméli, sovrastata da una bella fortezza veneziana del 1500. Allora, Europa e il bianco toro sono sbarcati, secondo la tradizione, ad Agìa Rouméli: alle spalle di questo villaggio c’è un grandioso anfiteatro montuoso, una spettacolare catena di monti (2453 metri) che si chiama Lefkà Óri, che in greco significa le montagne bianche(forse tutto questo "bianco" vi fa venire qualche idea…). Questa regione (che trovate facilmente sulla carta di Creta) è un’area di grande interesse paesaggistico e naturalistico che, dal 1962, è stata dichiarata parco nazionale: il parco nazionale delle gole di Samarià. Dalla spiaggia di Agìa Rouméli, per un sentiero a serpentine si sale passando dentro una serie di gole selvagge, formate da bianche pareti a strapiombo, scavate da un torrente tra le cime delle montagne bianche: dopo cinque, sei ore di salita si arriva, a 1080 metri, ai bordi di un vasto altopiano, dove si incontra il villaggio di Xilòskalo; al centro dell’altopiano è situata la cittadina di Omalòs, dove si trova anche la strada carrabile.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

È quindi consigliabile percorrere l’itinerario in senso inverso da come l’abbiamo descritto, cioè da Omalòs scendendo verso il mare: ma voi andate a constatare sulla carta, avete tutti i dati a vostra disposizione per il viaggio).

Utilizzando una guida della Grecia e una carta dell’isola di Creta segui questo itinerario e prepara il viaggio…

   Perché abbiamo percorso questo itinerario? Ma è chiaro! Europa e il bianco toro sono sbarcati, secondo la tradizione, ad Agìa Rouméli: su quella spiaggia c’era la capanna (due cuori e una capanna); a quel punto Zeus abbandona le sembianze del toro e si trasforma in bel pastore, ma la Metamorfosi (come spesso accade) rimane impressa nella Natura circostante. Le gole di Samarià, bianche e arrotondate come la bianca groppa del toro fatale, rimangono, nell’immaginario collettivo, a perenne testimonianza dell’avvenimento mitico. Il problema è che le guide turistiche non ne parlano! E il fascino di questa regione ha un senso soprattutto conoscendo il logos, l’epos, il mytos, altrimenti non se ne gusta il mistero.

   Come è accidentato questo sentiero! Gli antropologi ci dicono naturalmente che il procedimento di costruzione del racconto mitico, la rete dei racconti avviene sempre dalla Natura alla Cultura: e qui si dovrebbe capire bene! Cioè, è vedendo le bianche gole di Samarià, fatte a forma di bianca groppa di toro, che gli antichi cretesi si sono immaginati questa storia accattivante. Da quella Natura così selvaggia e spettacolare, fatta proprio così con quelle forme, sono nate, nell’immaginario popolare, le parole logos, i discorsi epos, i racconti mytos. è nata così questa straordinaria rete di racconti che è arrivata, attraverso la letteratura, fino a noi, questa sera, qui…

   Ma andiamo avanti a raccontare e ascoltate la seconda trama che ci propone Ovidio.

   A Sidone, intanto, ci si accorge della scomparsa della fanciulla, e Cadmo, il fratello, parte alla ricerca di Europa. Passa dall'oracolo di Delfi, il più importante santuario di Apollo, e la pizia, la sacerdotessa che dava i responsi gli dice: "Devi seguire una vacca! Se vuoi trovare tua sorella". Cadmo non sapeva che la sorella era stata sedotta da un toro (e i tori indubbiamente hanno a che fare con le vacche, ma lui non lo sa) e non capisce il responso dell’oracolo, ma all'uscita del Santuario vede comunque una bella mucca e comincia a seguirla. Lui non trova Europa, ma in compenso, quando la mucca si ferma, in Beozia, nel cuore della Grecia, Cadmo decide di fondare una città con una bella rocca: la chiama Tebe e ne diviene re.

   Zeus, che tutto vede, è un po' preoccupato dalla ricerca di Cadmo, e decide di apparire a Tebe, di benedire la nuova città e di lasciare in regalo alcune delle sue folgori sulla rocca Cadmea. Zeus (ve lo potete immaginare) aveva molti nemici che gli contendevano il potere: uno di questi era il gigante Tifone, un mostro che si ribella a Zeus, perché vuole diventare lui il padrone del mondo. Tifone è molto potente (li avete visti i tifoni?) e riesce, con tutto il suo armamentario naturale, a mettere in difficoltà Zeus. Zeus rimane senza armi, deve scappare, nascondersi, e si rifugia a Tebe. Cadmo (anche se Zeus non gli sta molto simpatico perchè qualcosa di lui non lo convince ) lo accoglie, anzi gli mette a disposizione le saette che aveva ricevuto in dono da lui e che aveva mantenute efficienti: con quelle folgori Zeus contrattacca, fulmina Tifone, e lo fa cadere nell'Etna: insomma, Zeus ha vinto per merito di Cadmo. Per riconoscenza, Zeus fa conoscere a Cadmo, che era scapolo e cercava moglie, una donna bellissima: Armonia, figlia di Ares (dio della guerra) e di Afrodite (dea dell’amore). Le nozze di Cadmo e Armonia sono un avvenimento mitico straordinario tanto per la festa imponente che fu organizzata, quanto per gli invitati illustri, umani e divini, ma soprattutto per il regalo che Cadmo fa ad Armonia: una preziosissima collana (toh, riecco la collana di prima) a questa benedetta collana sono legati un sacco di guai, ma quella della collana è un'altra storia…

   Le nozze di Cadmo e Armonia sono anche un bel libro, da leggere o da rileggere, di Roberto Calasso! Tra l’altro Calasso utilizza, in questo testo, un cospicuo repertorio da tutta la Letteratura greca, ma soprattutto da Le Metamorfosi di Ovidio. Sapete come comincia questo libro? Comincia con queste parole: "Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus…". Forse le avete già sentito queste parole, sono di Ovidio, ed anche quelle che seguono. Come si fa a fare a meno de Le Metamorfosi di Ovidio? Il nostro percorso è anche propedeutico per leggere questo non facile testo.

   Ma noi non possiamo perdere la rotta: che cosa c’entrano le nozze di Cadmo e Armonia con Dioniso? Perché siamo sempre sul sentiero di Dioniso! Seguiamo ancora Ovidio. Cadmo ed Armonia si amano molto e generano cinque figli: un maschio, Polidoro, e quattro femmine Autonoe, Ino, Agave e Semele. Zeus, naturalmente, con tutte quelle giovani femmine, teneva d'occhio la casa di Cadmo; aveva già avuto una storia con Ino, ma, poi, rimane folgorato da Semele, la quale ama le aquile e va ad osservarle dalla rocca Cadmea. Zeus lo sa e sotto forma di Aquila entra in contatto con lei.

   L'amore tra Zeus e Semele lo hanno raccontato tanti scrittori, è un classico. Il racconto più famoso dell’amore tra Zeus e Semele con tutte le sue complicazioni, è quello di uno scrittore, del V secolo d.C. che si chiama Nonno di Panopoli. Nonno ci racconta l’amore tra Zeus e Semele in uno straordinario poema in 48 canti, di versi ridondanti, che si intitola Le Dionisiache. Ora non ne parliamo perché incontreremo Nonno, da vicino: fra qualche settimana egli ci aspetta…

   Noi adesso seguiamo l’amore di Zeus e Semele ancora attraverso il racconto di Ovidio dal III libro de Le Metamorfosi. L’incontro tra Zeus e Semele consiste in una scena amorosa nella quale Zeus si trasforma in tante figure simboliche: è un incontro di straordinaria intensità! Era, Giunone, la moglie di Zeus, si era sempre adirata per i tradimenti del marito ma, in questo caso, si arrabbia moltissimo: Zeus è innamorato di quella ragazzetta: tanto Zeus ama Semele con particolare intensità, così sua moglie Era, Giunone, trama contro Semele con intensità particolare, la vuole proprio distruggere. Giunone sa che Semele, come tutte le altre amanti di Zeus, ci tiene moltissimo ad essere fecondata da lui in modo che suo figlio possa, in qualche modo, diventare divino e aspirare al potere. Zeus, sotto forma di Aquila, feconda Semele, ma dopo la vuole incontrare ancora: non gli basta quel fugace incontro, ma prova affetto per lei!

   Era, Giunone è davvero adirata e per mettere in atto il suo piano di vendetta, entra in contatto con Semele, si trasforma (c’è anche una metamorfosi di Era…) nella sua vecchia nutrice e la mette in guardia con queste parole: "Ma sei proprio sicura che sia Zeus quello con cui ti stai accoppiando? A volte c'è qualche furbino che dice di essere un dio ma è solo travestito da dio, e ti frega! Quando costui ritorna da te chiedigli che si mostri in tutta la sua potenza divina, se è davvero Zeus te ne accorgerai e così, mentre si unisce a te, il bambino che aspetti si divinizzerà". Zeus e Semele si incontrano; Semele, ingenua, chiede a Zeus di soddisfare un suo desiderio, anzi lo fa giurare sul nome del fiume Stige (cosa pericolosa anche per di dèi, giurare sullo Stige…) che lui lo esaudirà questo desiderio. Zeus, ingenuo più di lei, assicura e giura. Alla richiesta di Semele che lui si mostri in tutta la sua potenza, Zeus rimane sconvolto, ma ha giurato sullo Stige e non può tirarsi indietro; si dispera perché è il dio dell'energia elettrica, e l'esperimento di mostrarsi in tutta la sua potenza è pericolosissimo, ma deve cedere alla richiesta di Semele così dolce, così tenera, così combustibile. Zeus ce la mette tutta per mostrarsi nella sua potenza, producendo meno watts possibile ma il fuoco che sprigiona da lui brucia tutto lo stesso: il letto, la casa, e Semele stessa, che muore folgorata! Ed ecco che la vendetta di Era si compie…

   Ma Zeus non vuole che quel bambino, che Semele ha concepito con lui, muoia. Lo estrae, disperato, dal corpo della povera Semele morente e se lo cuce in una coscia per portarlo a maturazione. Zeus decide che questo bambino si chiamerà Dioniso: colui che rompe ogni barriera tra la ragione e l’istinto! Dioniso nasce dalla coscia di Zeus e viene affidato alla zia Ino che lo alleva tenendolo nascosto, ma Era non è ancora soddisfatta, non può sopportare il tradimento e neppure il frutto del tradimento: soprattutto non sopporta il frutto dell’innamoramento, dell’attaccamento, dell’affetto che Zeus è stato capace di esprimere, e fa di tutto per perseguitare Dioniso fino a farlo diventare folle e a farlo uccidere dai Titani.

   Il personaggio mitico di Dioniso rappresenta il perseguitato, l’ingiustamente perseguitato, rappresenta l’escluso, l’emarginato, l’abbandonato, colui che rimane solo ed è abbandonato da tutti. Il personaggio mitico di Dioniso è il modello della vittima, della vittima immolata: un modello che ha caratterizzato in modo fondamentale la nostra cultura.

   A questo punto, dobbiamo tirare delle conlusioni culturali utili, per capire, e necessarie, per leggere.

   Ovidio, ne Le Metamorfosi, descrivendo la morte di Dioniso usa in latino un termine preciso, un termine che noi conosciamo bene, perché è entrato nella nostra lingua come parola comune: "hostia", che significa la "vittima immolata". Questa parola-chiave è entrata direttamente nella cultura del cristianesimo: nelle campagne del bacino del Mediterraneo, la predicazione cristiana userà, nel III e nel IV secolo, i modelli dionisiaci per propagare l’euanghelon, la buona novella di un "dio vittima immolata", e al culto di Dioniso, la vittima immolata dai Titani per sedare la rabbia di Era, si sovrapporrà la vittima immolata giudaico-cristiana, Gesù Cristo. Il "caprone dionisiaco" lascia il posto all’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo… Le strade della storia della salvezza – vedete, capite – sono la continuazione una dell’altra: a percorsi culturali seguono percorsi culturali e la cultura ci invita a riflettere. Leggiamo dal Libro XI de Le Metamorfosi di Ovidio sette versi: sono importanti perché sono un tramite culturale, un legame significativo tra la cultura greca e quella giudaico-cristiana: ricordiamoci sempre che noi siamo il frutto di una rapsodia di culture, e in questa pluralità, in questa multiculturalità, sta la nostra ricchezza…

 LEGERE MULTUM….

Ovidio, Le Metamorfosi Libro XI

Dopo che tu fosti la vittima immolata (hostia) dei feroci Titani per placare la rabbia di Era

ti piansero, o Dioniso, tutti gli uccelli del cielo e tutti gli animali selvaggi.

E anche le rocce si commossero, e le foreste di solito insensibili, piegarono le fronde.

Espressero lutto le piante, e anche i fiumi, per le proprie lacrime si arricchirono di acque.

Le Naiadi e le Driadi indossarono manti velati di nero e lasciarono sparsi i capelli.

Il fiume Ebro, in Tracia, accolse il tuo capo e la lira che effondeva, mesta,

un ormai flebile suono, la tua voce morente sussurrava le tue ultime dolci parole

    Dopo essere stato immolato dai Titani, Dioniso riceve la solidarietà degli umani, soprattutto delle donne, che celebrano la sua follia in modo da tenerlo in vita, in modo da farlo risorgere con i ritmi delle stagioni. I riti di Dioniso sono collegati ai cicli vitali della vegetazione (vendemmia, frangitura, fienagioni, battitura) e sono un pretesto per fare festa, per trasgredire, per uscire dal solco, per pensare di risorgere, almeno per un giorno o due all’anno. L’aspetto più curioso dei riti dionisiaci è quel rituale, che si svolgeva originalmente nella campagne della Tessaglia, della Tracia e poi in molti altri luoghi, in cui in alcuni giorni all’anno si capovolgevano le convenzioni: i ricchi facevano i poveri, i forti facevano i deboli, i sapienti facevano gli ignoranti, e viceversa. Le donne (le menadi) erano, si concedeva loro di essere protagoniste perché si mettevano insieme e davano la caccia agli uomini. Le menadi, nei giorni prescritti dal calendario liturgico dionisiaco, incoronate con frasche di alloro, con indosso delle maschere, travestite con pelli di animali davano la caccia agli uomini che si nascondevano per non buscarle… Era un rito che celebrava, nella civiltà contadina mediterranea, il temporaneo ritorno a una condizione naturale, animale, selvaggia e che si concludeva con la caccia e lo sbranamento, non di un uomo, ma di un animale selvaggio (una lepre, un cinghiale, un cerbiatto, un daino…) che veniva divorato bello crudo: era il rito de l'omofagia, il divoramento della carne cruda (che poi verrà abolito con la riforma orfica). Come dire: voi avete il potere ma, state attenti perché, se non vi comportate bene, vi faremo fare questa fine, la fine di Dioniso! Era un modo per esorcizzare lo scontro sociale…

   Poi via via, questa caccia divenne un rito riformato, meno selvaggio e violento, un rito fatto di danze collettive al ritmo sfrenato del ditirambo: un ritmo ossessivo e ripetitivo eseguito con flauti e tamburelli che procurava uno stato di trance, che veniva chiamato: entusiasmo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale altra parola ti fa venire in mente la parola: "entusiasmo"?

Scrivila…

   A partire dal VI secolo a. C questa ritualità arcaica, attraverso riforme religiose, fu sostituita progressivamente con delle rappresentazioni simboliche. La caccia agli uomini e lo sbranamento di un animale selvatico crudo venne sostituita da una rappresentazione simbolica, da un rito che consisteva nel sacrificio di una bestia domestica: quasi sempre la bestia immolata (la vittima immolata, l’hostia) era un caprone, in greco tragόs tragòs. Il caprone immolato, ò tragòs, divenne una tradizione – la tradizione – nel rito dionisiaco. Nei periodi stabiliti dall’anno liturgico di Dioniso, un bel caprone, allevato appositamente, viene macellato, ben guarnito, ben preparato, ben condito, ben arrostito sul fuoco, ben decorato e mangiato in gruppo, accompagnato da abbondanti bevute di vino. Contemporaneamente, a mano a mano che il mangiare abbondante e il bere abbondante faceva allentare i freni inibitori e faceva rompere ogni barriera tra la ragione e l’istinto (l’effetto Dioniso) si cantava, si raccontava, si recitava, si satireggiava. Tutto questo avveniva intorno al caprone, insomma si faceva cantare il caprone, tragòs oidòs: da questo rito, chiamato il canto del caprone, tragos-oidos, nasce quella che chiamiamo la tragedia.

   E allora che cos’è la tragedia, che cosa significa il canto del caprone? La tragedia è l’origine della cultura! Che cosa significa questa affermazione? Ci dicono gli antropologi, l’origine della cultura va posta nel momento in cui l’homo sapiens comincia a raccontare la propria storia, cercando di dare una spiegazione alla fatidiche domande: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Ebbene, allora che cos’è la tragedia, tragòs oidòs, il canto del caprone? La tragedia è logos parola, è epos discorso, è mytos racconto. La tragedia, il canto del caprone, è il contenitore di quella straordinaria rete di racconti che stanno all’origine della cultura. Possiamo dire allora che prima di tutto c’è la tragedia. Prima di Dioniso, di Orfeo, degli dèi c’è il racconto. è dal racconto, è dal canto del caprone che nascono Dioniso, Orfeo, gli dèi.

   Queste affermazioni ci forniscono alcuni motivi di riflessione: tutte le volte che noi "raccontiamo", noi evochiamo "il canto del caprone" e ci troviamo a contatto con le origini. In origine, in principio, per la cultura greca, c’è la tragedia: sapete che cosa significa questa affermazione? Significa che, innanzi tutto, la parola tragedia è strettamente legata alla parola "perfezione"! Eppure, quando pensiamo alla tragedia, pensiamo tutt’altro che la perfezione! Come si giustifica il fatto che la parola tragedia è strettamente legata alla parola perfezione? Questo è un bel problema culturale che si presenta sul nostro cammino! E noi dobbiamo andare avanti passando proprio di lì: la tragedia rimanda alla perfezione! Come mai?

   Volete sapere come mai succede questo?

   Basta correre a Scuola, la Scuola è qui…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 17, 2003
Anno Scolastico: