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LO SGUARDO DI ERODOTO SUL PIANO DELLA MEMORIA DELLE ORIGINI…

Lezione N.: 
1

Prof. Giuseppe Nibbi             Lo sguardo di Erodoto 2006 11-12-13  ottobre  2006

LO SGUARDO DI ERODOTO SUL PIANO DELLA MEMORIA DELLE ORIGINI…

     Ben tornati e ben venuti a Scuola.

     Ben tornati a tutti coloro che sono in viaggio in questi itinerari culturali da uno, due, cinque, dieci, vent’anni (dal 1° ottobre 1984).

     E ben venuti a coloro che muovono i primi passi sui sentieri di questa esperienza scolastica: sulle strade di un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura (un titolo lungo e complesso: pubblicizzabile con difficoltà, ma tuttavia – da più di vent’anni – sempre ben frequentato).

     Perché le cittadine e i cittadini (italiani e stranieri) decidono di frequentare la Scuola pubblica, scelgono di viaggiare su questo Percorso? Perché pensano sia utile, sia importante dedicare un po’ di tempo (qualche ora, tre, quattro, cinque, sei ore alla settimana) allo studio. O per meglio dire, usando il latino, allo studium et cura (la parola cura è sinonimo della parola studium); l’uso della lingua latina è utile molto spesso per definire meglio un concetto: in latino il significato del termine studium risulta molto più efficace in quanto significa: prendersi cura della propria anima, del proprio corpo e della propria persona. Lo studio, studium et cura, nella cultura dell’Umanesimo, è la forma più qualificata per occuparsi di se stessi; non tanto per far carriera materialmente, ma soprattutto per progredire intellettualmente e spiritualmente: lo sviluppo materiale – pensano gli Umanisti medioevali – deve andare di pari passo al progresso spirituale perché è il progresso spirituale che rende lo sviluppo materiale rispettoso dei valori umani e quindi un bene. Lo studio, studium et cura, deve accompagnare le cittadine e i cittadini nel loro quotidiano viaggio esistenziale.

     Se lo studio fa riferimento alla metafora del viaggio (del percorso, dell’itinerario) significa che, questa sera, dobbiamo dedicarci, per qualche minuto, al rituale della partenza. Un viaggio,  tanto di andata, in greco poreìa, quanto di ritorno, in greco nostos, (l’andata è cosa diversa dal ritorno) ha inizio con la partenza, e la partenza (anche quando avviene molto in fretta, come quella di Ovidio per Tomi) è un rito. La celebrazione del rituale della partenza è un atto dovuto perché è una circostanza necessaria utile a far riflettere tutti noi sulla natura e sugli obiettivi di questo Percorso di studio. Inoltre la celebrazione del rituale della partenza è un momento importante che serve per prendere il passo; e il passo, il ritmo, in un Percorso di didattica della lettura e della scrittura, è scandito dagli elementi dell’affabulazione didattica.

     L’affabulazione didattica è il metodo attraverso il quale questa offerta formativa si realizza e vedremo tra poco, brevemente, in che cosa consiste: non si può intraprendere un itinerario senza sapere con quale passo dobbiamo affrontare il cammino. 

     Questo Percorso di studio, che si realizza nella Scuola pubblica secondo l’Ordinanza Ministeriale n.455/97, rappresenta un’offerta formativa, rivolta alle cittadine e ai cittadini italiani e stranieri, che intende favorire lo sviluppo dell’esercizio della lettura e della scrittura. L’esperienza della lettura intesa «come riflessione e analisi sul testo scritto» e della scrittura intesa «come rappresentazione sintetica del proprio pensiero» è praticamente assente dalla vita delle persone. Sappiamo che in Italia «indipendentemente dal titolo di studio e dalle condizioni sociali, le cittadine e i cittadini adulti che non leggono mai sono il 77% della popolazione e le cittadine e i cittadini adulti che non scrivono mai sono l’86% della popolazione»: questo dipende dal fatto che circa 40 milioni di persone (in Italia!) soffrono a diversi livelli di semi-analfabetismo e, tra queste, circa 22 milioni sono da considerarsi sulla soglia dell’analfabetismo. Le Carte (i Documenti ufficiali) di tutti gli Organismi internazionali, per esempio l’Unesco, dichiarano che: «Senza alfabeto non ci può essere crescita intellettuale e di conseguenza non ci può essere sviluppo democratico… Senza alfabeto non c’è democrazia…».

     Questo Percorso rappresenta un modello didattico (uno dei tanti possibili) che vuole attivare dalla base, con la partecipazione attiva delle cittadine e dei cittadini, una campagna di alfabetizzazione culturale perché: “lettrici e lettori”, “scrivane e scrivani” non si nasce ma si diventa attraverso un itinerario di studio. Questo Percorso vuole rendere operante (secondo l’Ordinanza Ministeriale n.455/97) un modello didattico, uno dei tanti possibili, per condurre una campagna di alfabetizzazione culturale attraverso i Centri Territoriali Permanenti per l’istruzione e la formazione in età adulta, vale a dire attraverso la Scuola pubblica che la Costituzione, all’art.34, dichiara: «Aperta a tutti.».

     Dopo averne chiarito la “natura” dobbiamo domandarci quali sono gli obiettivi specifici di questo Percorso didattico. A questa domanda molti di voi sanno già rispondere perché hanno subìto molte volte, ad ogni inizio di Percorso, il tradizionale rituale della partenza (e i rituali sono necessari ma sono ripetitivi).

     Questo Percorso didattico propone alle/ai partecipanti il raggiungimento dei seguenti obiettivi specifici (che cosa ci proponiamo di imparare in questo Percorso di studio?):

     * (primo) È necessario acquisire l’abitudine a leggere, per dieci minuti al giorno, quattro pagine al giorno: la lettura è fondamentalmente una (buona) abitudine. Se si vuole legere multa (ancora una volta utilizziamo il latino, per definire il concetto della quantità), se si vuole leggere 1500-2000 pagine l’anno, da lettrici e lettori forti, bisogna imparare a leggere poco (è un paradosso, ma: «si legge molto se si legge poco»…); si legge molto (60 ore l’anno per 1500 pagine l’anno: questo è già un pacchetto da lettrici e lettori forti!) se si leggono, costantemente e con attenzione, quattro pagine al giorno per dieci minuti al giorno, È necessario, quindi, imparare a legere multum (questa volta utilizziamo il latino per definire il concetto prima di tutto dal punto di vista della qualità), che significa: leggere costantemente, poco e bene.

     * (secondo) È necessario imparare ad analizzare un repertorio (nel nostro caso i “repertori” sono soprattutto rappresentati da testi scritti): sa leggere chi conosce i significati, cioè le forme e i contenuti, delle parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, e sa leggere chi capisce le forme e i contenuti delle idee significative-cardine della Storia del Pensiero Umano.

     * (terzo) È necessario imparare a sviluppare una trama intellettuale, cioè imparare a costruire il catalogo dei pensieri, a mettere in ordine i pensieri, che nascono nella nostra mente (il pensiero è sempre in azione) quando riflettiamo sui significati delle parole-chiave e delle idee significative contenute nei repertori della Storia del Pensiero Umano.

     * (quarto) È necessario acquisire l’abitudine a sintetizzare un pensiero attraverso la scrittura: uno dei pensieri che sono stati catalogati dalla mente che riflette, uno dei segmenti della trama intellettuale che la nostra mente ha tessuto. Per l’esercizio della scrittura valgono le stesse cose che abbiamo detto per la lettura: la scrittura è una (buona) abitudine ed è utile scrivere quattro righe al giorno, preferibilmente di carattere autobiografico. La “scrittura” è uno straordinario esercizio in funzione dello studium et cura, e serve a pensare, riflettere, considerare, meditare, pesare le parole,  fare un bilancio, ricordare, osservare, progettare. La scrittura ci stimola a raccontare, descrivere,  informare, esprimere, interpretare, argomentare…

     * (quinto) È necessario imparare a riflettere sulla trafila dell’apprendimento e a imparare a potenziare le azioni attraverso le quali si realizza l’apprendimento (le cosiddette azioni cognitive), bisogna sapere che per imparare ad imparare è necessario mettere in atto sei azioni fondamentali: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare, Il Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura sul quale ci stiamo incamminando si propone di “potenziare l’apprendimento, che è un diritto-dovere delle cittadine e dei cittadini, e questo significa che dobbiamo imparare a

        conoscere (un catalogo di parole-chiave),

        capire (un catalogo di idee significative),

        applicarci (su un repertorio culturale),

        analizzare (a mettere in ordine la trama dei nostri pensieri),

        sintetizzare (a fissare, con la scrittura, il pensiero che ci seduce di più),

        valutare (a misurare, a giudicare i risultati del nostro itinerario intellettuale),

     e tanto più, durante questa trafila, ci rendiamo conto di non-sapere e meglio è.

     La cultura è un lungo viaggio all’interno della nostra ignoranza (ci suggeriva Baruch o Benedetto Spinoza nel maggio scorso e chi c’era se lo ricorda). «La cultura non è una cosa – dicevano gli Scolastici medioevali a Parigi alla Facoltà delle Arti nel 1247 – ma è un modo di fare le cose».

     La Scuola serve non solo per imparare le cose (per rendere la testa ben piena) ma soprattutto per imparare come s’imparano le cose, per imparare un modo (per rendere la “testa ben fatta”).

     L’attività dei Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura si sviluppa, abbiamo detto poco fa, attraverso l’applicazione del metodo dell’affabulazione didattica, che risulta efficace, nel settore dell’Educazione degli Adulti, per favorire il coinvolgimento della persona nel processo d’apprendimento e per rendere la persona capace di governare, attraverso le azioni cognitive, il proprio itinerario d’apprendimento in modo da imparare a investire in intelligenza. Per imparare a investire in intelligenza è necessario che, l’esercitazione, tanto la Lezione da parte dell’insegnante quanto l’esecuzione del compito da parte dello studente, passi attraverso la trafila delle azioni cognitive dell’apprendimento: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare.

     L’affabulazione didattica è un principio attivo che deve stimolare gradualmente le persone a interpretare, in modo autonomo e creativo, prima di tutto le forme dell’apprendimento: siamo soliti ripetere (con una metafora poetica) che “non sono le perle che fanno la collana, è il filo”, vale a dire che è l’acquisizione del metodo (della trafila dell’apprendimento) che permette di imparare a studiare (a curare se stessi).

     Affabulazione didattica significa presentare e utilizzare dati, informazioni, oggetti culturali, paesaggi intellettuali, icone, idee cardine e parole-chiave attraverso il testo della “Lezione” costruito sul principio della domanda e sul sistema del ragionamento progressivo e articolato la cui trafila deve essere scandita dalle azioni cognitive: ad ogni itinerario (perché veniamo a Scuola?) ci proponiamo di conoscere la forma e il contenuto di alcune parole-chiave, ci proponiamo di capire la forma e il contenuto di alcune idee cardine, ci proponiamo di applicarci con attenzione sul repertorio (come stiamo facendo adesso), ci proponiamo di analizzare vale a dire di catalogare i pensieri che il repertorio fa nascere nella nostra mente, ci proponiamo di sintetizzare vale a dire di scegliere un pensiero e di scriverlo (bastano quattro righe per costruire una trama), e infine ci proponiamo di valutare vale a dire di autogovernare l’andamento di questa trafila che, itinerario dopo itinerario, potenzia la nostra capacità di imparare ad imparare. «La cultura non è una cosa – dicono gli Scolastici – ma è un modo di fare le cose». La Scuola serve non solo per imparare le cose ma soprattutto per imparare come s’imparano le cose. Affabulare, nel contesto di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura,  significa presentare il testo della Lezione, presentare il repertorio e la trama in modo che nella mente delle persone possano aprirsi le tre principali porte d’accesso alla conoscenza: la curiosità, la riflessione e l’immaginazione.

     Per concludere il ripetitivo e tradizionale, ma necessario, rituale della partenza dobbiamo dire che ci avvaliamo anche di due strumenti funzionali al Percorso di didattica della lettura e della scrittura. Il primo strumento è la rivista L’ANTIbagno che quest’anno ha compiuto otto anni. In realtà si tratta di un quaderno didattico interattivo costruito in modo che ciascuno lo possa leggere ma soprattutto possa utilizzare gli spazi, lasciati appositamente a disposizione, per scrivere, disegnare, illustrare, colorare, appiccicare immagini: spesso (anche perché lo spazio a disposizione non è molto…) è sufficiente una “parola” per esprimere il proprio pensiero, spesso è sufficiente un “segno” per rappresentare una riflessione, ed è in questo senso che, scrivendoci e disegnandoci sopra, questo quaderno si trasforma in una rivista: è in questo modo che diventa la rivista propria di ciascuno, pronta per essere letta e per cominciare il suo tragitto nella biblioteca itinerante. Il secondo strumento di cui questa esperienza scolastica si avvale, è il sito governato dal Franco mastro di posta: i Percorsi di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura sono in rete all’indirizzo: www.inantibagno.it. Il sito permette, iscrivendosi all’area riservata, di avere a disposizione il testo integrale delle Lezioni di questo Percorso e permette, volendo, a gruppi di cittadini (in altri CTP italiani o all’estero) di seguire l’itinerario di studio a distanza (via FAD - Formazione a distanza). Inoltre il sito – che raccoglie già Lezioni, repertori e trame degli anni 2003-2004-2005-2006 – permette soprattutto di aggiornarsi e di documentarsi sui testi delle Lezioni dello scorso anno 2005-2006 che possono essere “scaricati” e letti visto che avremo modo di citarli spesso.

     Il ripetitivo e tradizionale, ma necessario, rituale della partenza ci ha permesso di prendere il passo, e così il viaggio dell’anno scolastico 2006-2007 è incominciato.

     Il rituale della partenza ci ha messo al corrente del perché e del come dobbiamo intraprendere un viaggio di studio, ma: da dove parte il nostro Percorso? Come si configura, che forma ha, il punto, lo spazio, il luogo della nostra partenza?

     Alla fine di maggio abbiamo concluso il nostro secondo Percorso dell’anno scolastico 2005-2006 (sei itinerari di studio) in compagnia del “giovane Hegel”. Ci siamo fermati tra la prima e la seconda parte della Fenomenologia dello Spirito, un’opera pubblicata nel 1807. La Fenomenologia dello Spirito di Hegel è una delle opere più significative, più stimolanti e più complicate, più difficili da leggere e da capire, della Storia del Pensiero Umano e avremo modo di ritornare su quest’opera perché, a primavera, abbiamo ancora un appuntamento con il giovane Hegel che, nel frattempo, ha anche cessato di far parte della categoria dei giovani.

     In funzione della didattica della lettura e della scrittura abbiamo catalogato le parole-chiave più importanti della prima parte di quest’opera. Le parole-chiave più importanti della prima parte della Fenomenologia dello Spirito sono tre termini che hanno un peso notevole nella Storia della Cultura e nell’esercizio dell’investire in intelligenza, sono le parole: coscienza, autocoscienza e ragione: quante volte usiamo queste parole!

     Perché ritorniamo a Le Storie di Erodoto, a un’opera che ha circa 2500 anni, prima di riprendere il nostro Percorso nel territorio del pensiero di Hegel? Perché ritorniamo a 2500 anni fa, agli albori della nostra cultura, alla prima infanzia della nostra età mentale? (Sappiamo ormai che, oltre ad avere un’età anagrafica e un’età biologica, abbiamo un’età intellettuale, che corrisponde - se ne prendiamo coscienza, ci suggerisce il giovane Hegel - a 2500 anni per tutti. Tutti abbiamo un’età intellettuale che corrisponde a 2500 anni: se ne siamo consapevoli (se c’è autocoscienza, ci suggerisce il giovane Hegel): possiamo “allargarci la vita” al di là dei confini della banalità quotidiana. Questa coscienza e questa autocoscienza è la ragion d’essere dello studio, dello studium et cura: studiare serve, prima di tutto, per allargarci la vita al di là dei confini dell’insipienza ordinaria, studiare serve per gustare i frutti della nostra età intellettuale, lo “studio” è un piacere al quale non dobbiamo rinunciare.

     Sono proprio le parole coscienza, autocoscienza e ragione, suggeriteci dal giovane Hegel, che ci riportano a Le Storie di Erodono. Se il giovane Hegel (e tutta la generazione romantica, titanica e galante, che abbiamo incontrato in questi ultimi anni) non avesse studiato con passione la “cultura greca di cui Erodoto si fa portavoce” non avrebbe potuto disegnare il suo itinerario (la sua “fenomenologia”) dalla coscienza, all’autocoscienza, alla ragione e oltre fino allo Spirito. Quindi sono proprio le parole coscienza, autocoscienza e ragione che ci riportano a Le Storie di Erodoto e ci servono anche per dare consistenza al punto, allo spazio, al luogo della nostra partenza.

     L’anno scorso abbiamo studiato soprattutto le forme culturali, intellettuali e allegoriche dell’opera di Erodoto e ora, purtroppo, è materialmente impossibile fare un riassunto delle puntate precedenti, per fortuna però, chi vuole (da se medesimo o con l’aiuto di qualcuno più esperto) può stampare e leggere sul sito www.inantibagno.it le 22 lezioni su Erodoto dello scorso anno. Ora noi, naturalmente, strada facendo, ci occuperemo ancora a grandi linee tanto della vita di Erodoto di Alicarnasso o di Turi, vissuto tra il 484 e il 424 a.C. circa, quanto delle “forme (culturali, intellettuali e allegoriche)” della sua opera.

     Per prima cosa, in relazione al problema della definizione del punto, dello spazio, del luogo, della nostra partenza, dobbiamo dire che, nel testo de Le Storie di Erodoto, abbiamo scoperto e catalogato una serie di parole e di idee che vengono ritenute proprie di Erodoto, che vengono considerate corrispondenti al vocabolario di Erodoto. Queste parole, dell’antica cultura greca (e del nostro patrimonio culturale), coincidono alle forme intellettuali presenti nella mente dello scrittore: sono proprie di Erodoto perché le utilizza e le spiega ma non sono esclusivamente sue. Le cosiddette “parole proprie di Erodoto” sono il frutto di un clima culturale che si respira, 2500 anni fa, nel bacino del Mediterraneo, ed Erodoto le raccoglie e utilizza queste parole, queste “forme intellettuali”, come strumenti per mettere in atto l’attività a cui si dedica: l’esercizio del raccontare.

     Le Storie di Erodoto sono lo straordinario racconto di ciò che lo scrittore ha visto (o dice di aver visto), ha udito, ha sentito raccontare nei suoi viaggi in Europa, in Asia e in Africa. L’opera di Erodoto c’insegna che sull’attività del “raccontare” confluiscono una serie di parole che costituiscono l’ossatura di quell’oggetto culturale indispensabile a dare un senso all’esistenza che chiamiamo: il racconto. La realtà esiste se la sappiamo raccontare, noi stessi esistiamo se ci sappiamo raccontare.

     Sull’attività del raccontare confluiscono le parole proprie di Erodoto, e queste parole sono: ricerca (tesis), analisi (antitesis), giudizio (crisis), allusione (ìchonos), ambiguità (anfibìa-aporìa), vendetta (timorìa), coincidenza (chairòs), corrispondenza (syntesis), allegoria (allegorìa), varietà (diaforà), verifica (dochimasìa).

     Queste parole, che vengono considerate proprie di Erodoto, e che qualificano Erodoto come il primo storico, come il padre della Storia, le abbiamo ritrovate, circa 2500 anni dopo, nel vocabolario del giovane Hegel e tuttora, queste parole-chiave, fanno parte del nostro lessico comune anche nella loro versione originale greca, pensiamo ai termini come tesis, antitesis, crisis, aporìa, syntesis, allegoria …

     Queste parole, che vengono considerate proprie di Erodoto, fanno parte del nostro patrimonio culturale e sono a nostra disposizione da 2500 anni in funzione della didattica della lettura e della scrittura: prendiamone atto (impariamo a respirare questo clima culturale).

     Nel testo de Le Storie di Erodoto – noi stiamo sempre ragionando in relazione al problema della definizione del punto, dello spazio, del luogo, della nostra partenza – abbiamo rinvenuto le parole e le idee che gli studiosi definiscono le parole proprie degli albori e che appartengono allo strato più profondo della nostra memoria: Erodoto le ha raccolte senza rendersi conto dello straordinario lavoro di catalogazione che, raccontando, stava facendo.

     Inoltre abbiamo preso atto che Erodoto, nel testo de Le Storie, allude alle parole e alle idee delle “grandi civiltà dell’età antica”, di quella che viene chiamata l’Età assiale della Storia (strada facendo dovremo, seppur brevemente, spiegare ancora una volta che cosa significa Età assiale perché probabilmente non tutti conoscono questo concetto).

     Tutte queste parole-chiave (le parole proprie di Erodoto, le parole proprie degli albori e le parole proprie dell’Età assiale della storia) le abbiamo catalogate e, alla fine del Percorso nel maggio 2006, utilizzando un questionario, abbiamo operato una scelta sul catalogo delle parole proprie di Erodoto e sul catalogo delle parole emergenti dall’Età assiale della storia, e così i nostri tre gruppi di studio (hanno risposto al questionario 289 persone), secondo il loro modo di vedere, hanno dato una forma al territorio de Le Storie di Erodono. Vediamo i risultati della scelta: forse siamo anche un po’ curiosi visto che gran parte di noi ha partecipato alla consultazione. Osserviamo quale aspetto ha assunto il paesaggio intellettuale de Le Storie di Erodoto attraverso le nostre scelte in relazione alle “parole proprie” di Erodoto, alle definizioni che Erodoto ha dato della Storia e in riferimento alle parole-chiave dell’Età assiale.

Per quanto riguarda le parole-chiave “proprie di Erodoto” abbiamo scelto :

ricerca (tesis)                         al 39%

allusione (ìchonos)                al 14%

analisi  (antitesis)                   al 13%

allegoria (allegorìa)            al 7%

giudizio (crisis)                   al 6%

                                                                                                   corrispondenza (syntesis)          al 5%

 coincidenza (chairòs)        al 4%

  verifica (dochimasìa)          al 4%

                                                                                                     ambiguità (anfibìa-aporìa)        al 3%

                                                                                                             varietà (diaforà)                  al 3%

                                                                                                              vendetta (timorìa)              al 2%

Per quanto riguarda le “definizioni” che Erodoto ha dato della Storia abbiamo scelto:

La Storia è memoria?                  al 55%

                                                                                 La Storia è la capacità di mettere ordine?       al 21%

                                                                                               La Storia è l’arte di raccontare?         al 10%

                                                                              La Storia è l’arte di varcare la frontiera?            al 7%

La Storia è tragedia?                   al  3%

La Storia è allusione?                   al  2%

                                                                                                  La Storia è precisazione?                  al  2%

Per quanto riguarda il catalogo di parole legato all’Età assiale della storia abbiamo scelto:

           destino                                    al  18,1%

             giustizia                                 all’ 11,0%

                                                                                                                sogno                                   all’ 11,0%

                                                                                                                equilibrio                             all’ 8,1%

                                                                                                           responsabilità                          all’ 8,1%

        ordine                                      all’ 8,0%

                                                                                                          scelta                                         al 5,5%

   desiderio                                     al  5,0%

         dolore                                   al  5,0%

                                                                                                         illusione                                     al  4,0%

    rettitudine                                  al  3,0%

      modestia                                    al  2,5%

         ira                                            al  2,5%

        necessità                                   al  2,0%

                                                                                                           umiltà                                        al  2,0%

                                                                                                        vanità                                           all'  1,5%

          caso                                        all’ 1,0%

  benevolenza                                    allo 0,8%

       simpatia                                        allo 0,8%

                                                                                                       decoro                                            allo 0,1%

Secondo le scelte operate nella nostra consultazione le parole-chiave in evidenza ne Le Storie di Erodoto sono:

la ricerca (tesis)

la memoria

il destino la giustizia  il sogno

     Questa è una prima forma emergente (una delle tante possibili) che abbiamo dato,  riflettendo in funzione della didattica della lettura e della scrittura, sul catalogo riguardante le parole proprie di Erodoto come scrittore di storie, sul catalogo riguardante le definizioni che Erodoto ha dato della Storia e sul catalogo riguardante le parole più significative dell’Età assiale. Ribadiamo che questa è una delle tante possibili forme emergenti che riguardano il testo de Le Storie di Erodono.

     Questa prima forma emergente (questo primo pacchetto di parole) può essere considerato il primo segmento che costituisce il punto, lo spazio, il luogo della nostra partenza ed è senz’altro molto significativo il fatto che sia emersa con grande rilevanza la parola: memoria.

     Il testo de Le Storie di Erodono, lo abbiamo ribadito molte volte, oltre ad essere ricco di contenuti culturali, è una miniera (una fonte copiosa, impetuosa, thouria thoùria in greco) di forme intellettuali, di cataloghi di parole-chiave e di idee-cardine che riguardano il nostro albero genealogico lessicale. A che cosa ci riferiamo quando usiamo l’espressione: albero genealogico lessicale? È un tema importante che riguarda la storia delle nostre radici culturali, ma non se ne parla mai.

     Negli itinerari dello scorso anno scolastico abbiamo rinvenuto e catalogato nell’opera di Erodoto le parole degli albori che, secondo il giudizio unanime degli antropologi, corrispondono ai rami più antichi del nostro albero genealogico lessicale; e poi abbiamo rinvenuto e catalogato le parole-chiave fondamentali dell’Età assiale della Storia della cultura indiana, della cultura cinese, della cultura mesopotamica, della cultura egizia. Ma nel testo de Le Storie di Erodoto, troviamo anche (e soprattutto) il catalogo delle parole e delle idee che riguardano la civiltà greca, cioè le parole e le idee della cultura ionica (il vento dello Ionia – anemos-ànemos – l’anno scorso lo abbiamo già sentito soffiare… ma appena un po’), e poi le parole e le idee della cultura attica, che non abbiamo ancora catalogato, e inoltre le parole e le idee della prima cultura ellenistica, quella della cosiddetta Mega-Ellas o Magna-Grecia,, che non abbiamo ancora catalogato.

     Erodono, come sappiamo, ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita nella Mega-Ellas, nella Magna-Grecia, nella polis di Turi, dove (molto probabilmente) ha scritto Le Storie. Nell’ultimo itinerario dell’anno scolastico 2005-2006, alla fine del maggio scorso, ci siamo, quindi, dati appuntamento a Turi: ed è qui che, questa sera, rincontriamo Erodono. Turi è il luogo geografico della nostra partenza (è di qui che, virtualmente, metaforicamente, ci stiamo incamminando, è di qui che parte il sentiero di questo Percorso): ma che configurazione ha, come paesaggio intellettuale, lo spazio da cui stiamo prendendo il passo?

     Il sito archeologico di Turi Antica si trova sullo stesso luogo del sito archeologico di Sibari, sulla costa ionica della Calabria (potete osservarlo sull’atlante questo luogo). Turi è una colonia ateniese voluta da Pericle, fondata nel 444 a.C. sul sito di Sibari. Sibari era una ricca polis (i Romani, qualche centinaio di anni dopo, la ribattezzeranno Copia che significa “abbondanza”) fondata dagli Achei e che era stata distrutta dai Crotoniati nel 510  a.C.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Utilizzando la “guida rossa del Tourig Club Italiano” della Calabria – che trovate in biblioteca – potete fare un’escursione a Sibari e a Turi, buon viaggio…

     Il nome di Turi deriva dall’aggettivo greco Thoùrios che significa “impetuoso” e dà il nome ad una fonte, la fonte Thoùria, che costituisce una ricchezza per questa zona. La fonte Thoùria, ci suggerisce Erodoto alludendo, è sempre attiva, e per noi rappresenta un’allegoria che dobbiamo cogliere. Erodoto a Turi molto probabilmente scrive e mette in ordine la sua opera, Le Storie, e quest’opera è una fonte copiosa, impetuosa, thoùria, accanto alla quale cresce e prende forma quello che viene chiamato dagli antropologi l’albero genealogico lessicale, vale a dire il catalogo delle parole-chiave e delle idee-cardine che, dalle origini, costituiscono lo strato più antico della Storia del Pensiero Umano. Oggi, proprio per questo motivo, l’opera di Erodoto viene studiata dagli esperti con grande attenzione: come uno dei depositi principali della cultura delle origini.

     Se vogliamo incominciare a capire “chi siamo” dobbiamo incominciare a conoscere il nostro albero genealogico lessicale. La conoscenza e la comprensione del nostro albero genealogico lessicale ci permette di cominciare a chiarire la nostra “identità”: l’identità umana, dalla quale scaturiscono quelle che chiamiamo le culture. E allora, prima di prendere decisamente il passo, dobbiamo abbeverarci con l’acqua fresca di questa fonte (la fonte Thoùria) e dobbiamo incominciare ad osservare i rami del nostro albero genealogico lessicale. Come vedete stiamo continuando a dare la forma al paesaggio intellettuale che costituisce il punto della nostra partenza.

     I rami più bassi, quelli più antichi, del nostro albero genealogico lessicale corrispondono alle parole degli albori, alle parole che si sono sedimentate nello strato più profondo della nostra mente. E quali sono le parole-chiave che troviamo nello strato più profondo della nostra mente? Nello strato più profondo della nostra mente (molti di voi lo sanno dal Percorso dello scorso anno) troviamo quattro coppie di parole che rappresentano i concetti più antichi della Storia del Pensiero Umano: paura-bisogno, ritmo-ciclo, rete-rito, cerimonia-racconto.

     Erodoto, ne Le Storie, allude a queste parole degli albori: così vengono chiamate: Erodoto collega le parole degli albori – che corrispondono ai rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale – ad una facoltà che determina, dalle origini, la nostra essenza di esseri umani: la facoltà della memoria. Infatti il livello dei rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale viene chiamato il piano della memoria delle origini. Ed è senz’altro molto significativo il fatto che, dalla nostra consultazione, sia emersa con grande rilevanza la parola: memoria.

     Nel testo della sua opera, Erodoto pone in continuazione a se stesso alcune domande che considera fondamentali e che, anche noi, dovremmo porci: fin dove arriva all’indietro la nostra memoria culturale? E dove ci porta, in avanti, la nostra memoria culturale? Che cosa ha contribuito a sviluppare quello che viene chiamato il sistema della memoria che rappresenta una delle strutture fondamentali per vivere?

     Queste domande che il testo dell’opera di Erodoto ci propone, e che noi ci poniamo in partenza di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura, sono propedeutiche alle tradizionali domande: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Investendo in intelligenza lungo gli itinerari di un Percorso di didattica della lettura e della scrittura noi possiamo dare anche alcune parziali risposte a questi grandi interrogativi: parziali risposte che ha già dato Erodoto. Quando noi ci domandiamo: chi siamo? dobbiamo tener conto del fatto che siamo anche le parole con cui siamo capaci di rappresentarci. Quando noi ci domandiamo “da dove veniamo e dove andiamo?” dobbiamo tener conto del fatto che veniamo dal punto fin dove arriva la nostra memoria e andiamo fin dove la nostra memoria è capace di farci immaginare.

     Fin dove arriva all’indietro la nostra memoria culturale? E dove ci porta, in avanti, la nostra memoria intellettuale? Che cosa ha contribuito a sviluppare quello che viene chiamato il sistema della memoria che rappresenta una delle strutture fondamentali per vivere? Quali “parole” entrano in gioco in rapporto alla memoria?

     La memoria – è necessario riflettere ancora su questi concetti sui quali abbiamo riflettuto altre volte – si sviluppa attraverso un elemento primario, necessario e indispensabile: la paura. E la parola paura è la prima parola-chiave che la Storia del Pensiero Umano ci pone di fronte. Se i nostri antenati non avessero avuto paura e non avessero imparato a gestire la paura si sarebbero esposti pericolosamente e si sarebbero estinti e noi non saremmo qui a parlare di loro, con le nostre paure.

     La memoria è il fondamentale meccanismo propulsore della Storia della Cultura e del Pensiero, e si sviluppa, in principio, attraverso la paura di perdere la memoria. Noi continuiamo a provare la stessa atavica e ancestrale sensazione di disagio e di disappunto quando ci dimentichiamo qualcosa che riteniamo importante. I nostri antenati, fra i ventimila e gli ottomila anni a.C, hanno graffito e hanno dipinto nelle caverne di Lescaux (in Francia) e di Altamira (in Spagna) e hanno prodotto i segni più antichi della nostra cultura che noi possiamo leggere. Queste pitture rappresentano bellissime e realistiche figure di animali perché i nostri antenati avevano bisogno di cacciare per vivere ed erano convinti che la rappresentazione più fedele possibile di quei tori, di quei bisonti, di quei cavalli fosse un modo per possederli già un po’. Non solo avevano paura di questi animali che vivevano allo stato selvaggio ma avevano anche paura di lasciarseli scappare: alla parola paura è strettamente legata la parola bisogno. Difatti la prima coppia di parole-chiave della Storia del Pensiero Umano è formata dai termini paura e bisogno che rappresentano le prime due parole che troviamo nello strato più profondo della Storia della nostra cultura. Quindi il primo dei rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale è formato dalle parole: paura e bisogno.

     I nostri antenati hanno paura di perdere la memoria perché hanno bisogno della memoria per esistere (sarà per via di questo atavico e ancestrale sentimento che la parola “memoria” – nella nostra consultazione – è stata scelta così massicciamente?). Inoltre la memoria dei nostri antenati, come del resto le nostra memoria, è in relazione ai ritmi e ai cicli dell’esperienza quotidiana: i nostri antenati si rendono conto che i fenomeni naturali (il giorno e la notte, l’alternarsi delle stagioni) e i corpi delle persone sono soggetti ai ritmi e ai cicli, e questa scoperta porta l’Umanità a passare dalla caccia all’agricoltura (è quella che viene chiamata la Rivoluzione del Neolitico, della “pietra nuova”), questa scoperta porta l’Umanità a passare dalla caverna al recinto, dal Kaos al Cosmos (ricordate che la parola Cosmos, in greco, significa ordine e significa mondo). La memoria, mentre si lega all’idea di ritmo e di ciclo, diventa il supporto fondamentale per l’acquisizione delle competenze necessarie alla sopravvivenza e la seconda coppia di parole-chiave, presente nello strato più profondo della Storia del Pensiero Umano, è formata dai termini ritmo e ciclo. Quindi il secondo dei rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale è formato dalle parole: ritmo e ciclo.

     Gli esseri umani prendono atto che tanto la vita del Cosmo quanto l’esistenza delle persone sulla Terra è soggetta a ritmi e cicli che s’imprimono nella memoria, e le dimensioni del Cosmo vengono date soprattutto dalla rete delle memorie. Dalla rete della memoria scaturiscono i riti: e il rito, che si ripete in modo ciclico, è un’azione che serve prima di tutto per rafforzare (per rievocare, per ravvivare) la memoria. Ecco qual è la funzione più profonda del rito: rafforzare la memoria. La terza coppia di parole-chiave presente nello strato più profondo della Storia del Pensiero Umano è formata dai termini rete e rito. Quindi il terzo dei rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale è formato dalle parole: rete e rito.

     L’insieme dei riti (una rete di riti) dà vita alla cerimonia, e le cerimonie sono i grandi contenitori della memoria. Dalla memoria cerimoniale scaturisce il racconto, e che cos’è il racconto se non la massima espressione della memoria? Può esistere il racconto senza la memoria? E può esistere la memoria senza il racconto? La quarta coppia di parole-chiave presente nello strato più profondo della Storia del Pensiero Umano è formata dai termini cerimonia e racconto: le cerimonie, le rievocazioni cerimoniali sono fondate su un racconto, spesso su un racconto mitico, e l’azione del raccontare è la cerimonia per eccellenza. Quindi il quarto dei rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale è formato dalle parole: cerimonia e racconto.

     Ai primordi della cultura umana, nello strato più profondo dei ricordi della specie, al livello di quello che è stato chiamato il piano della memoria delle origini – allude Erodoto ne Le Storie, come abbiamo già studiato nello scorso anno scolastico, – troviamo i quattro rami più bassi del nostro albero genealogico lessicale che corrispondono a quattro coppie di parole-chiave: paura-bisogno, ritmo-ciclo, rete-rito, cerimonia-racconto.

     Era necessario ripetere ancora una volta questa trafila che abbiamo ripetuto più volte? Intanto tra noi ci sono persone che stanno iniziando il loro primo Percorso e forse ignoravano il catalogo delle parole degli albori. Inoltre c’è un motivo più strutturale legato al programma di apprendimento (al diritto-dovere all’apprendimento) che riguarda l’atto della ripetizione, che concerne l’azione della rievocazione. Dobbiamo riflettere sul fatto che il richiamo delle paure e dei bisogni si ripete nel gioco continuo dei ritmi e dei cicli: e i riti non sono forse ripetitivi come la ricorrente rievocazione delle cerimonie? Ebbene la memoria vive, si amplia, si consolida nella ripetizione, nella rievocazione.

     A questo punto è necessario fare una breve riflessione su un fenomeno assai preoccupante che riguarda la nostra contemporaneità basata sullo sviluppo industriale e postindustriale: la perdita di valore della memoria come facoltà che determina la nostra essenza di esseri umani. Sappiamo che il cosiddetto sviluppo industriale e postindustriale ha consentito ad una parte dell’Umanità (al mondo sviluppato) il possesso di molti oggetti che chiamiamo beni. Questi oggetti utili perdono la loro valenza di “beni” nel momento in cui non s’incrementa, di pari passo, la cultura dell’Umanesimo ma si potenzia la pratica degli affari (questa idea in verità la sentiamo ripetere dagli albori della Storia del Pensiero Umano). La pratica degli affari ha costretto, in questi ultimi anni, e costringe la memoria dell’essere umano – dicono gli studiosi – a subire quella che viene chiamata: l’inondazione monografica: che cosa significa? Significa che la memoria deve sottostare a un’impetuosa proposizione ripetitiva di annunci che si presentano sotto forma di spezzoni, di brandelli, di frazioni separate e disorganiche, in un afflusso vorticoso che produce nell’individuo una testa ben piena di messaggi tenuti insieme non da una logica intellettuale (dallo studium et cura, dallo studio e dalla cura) ma da una direttiva dominante: quella di consumare. In tale prospettiva (che si è imposta, e noi ne possiamo ammirare i risultati…) la memoria diventa uno stretto recinto contenente “corti segmenti linguistici” spesso estrapolati dal repertorio della tradizione culturale senza alcun legame con la Storia del Pensiero. Questi corti segmenti linguistici, distillati in laboratorio e immessi nel sistema del tam tam mediatico ripetitivo, non decodificati culturalmente e intellettualmente, cozzano e si sovrappongono tra loro contribuendo a produrre il fenomeno dell’accorciamento della memoria (la memoria di gran parte degli umani procede da uno spot all’altro). La memoria (postindustriale o mediatica) è lunga, o meglio, è corta quanto è corto ogni segmento ripetuto e, di conseguenza, assistiamo alla moltiplicazione della memoria corta, disarticolata, improduttiva con il risultato che questo tipo di memoria recintata, questa memoria dell’inondazione monografica diventa un impedimento, costituisce un blocco per la memoria stessa. La moltiplicazione dei segmenti di memoria corta (che definiamo genericamente spot) è un’operazione che non produce memoria lunga ma pensiero corto, che è destinato a diventare pensiero uniforme (monografico). Noi desideriamo acquisire un pensiero lungo, una memoria multiforme e per raggiungere quest’obiettivo è necessario, prima di tutto, conoscere, capire ed applicarsi sul nostro albero genealogico lessicale.

     Nella cultura dell’Umanesimo, che noi vogliamo coltivare, la memoria è la funzione che procura la visione d’insieme, che evoca i paesaggi intellettuali e ne richiama i legami. Nella cultura dell’Umanesimo la memoria è l’esercizio che favorisce l’osservazione di un vasto orizzonte costituito da parole-chiave, di cui acquisire la conoscenza nel loro contesto, e da idee-cardine, di cui capire il significato. Una necessità fondamentale (per questo sarebbe importante moltiplicare i Percorsi in funzione della didattica della lettura e della scrittura…), oggi, è quella di insegnare alle cittadine e ai cittadini la lettura (e la scrittura) nel silenzio, elemento importante per la vitalità della memoria: abbiamo assistito, in questi anni (di “sviluppo senza progresso”, ha scritto Pierpaolo Pasolini), alla morte del silenzio (nelle città, nelle case, nella vita quotidiana) e all’imporsi del baccano propagandistico (situazione favorevole per la moltiplicazione dei segmenti di memoria corta e per la diffusione del pensiero uniforme).

     Una necessità fondamentale, oggi, è quella di proporre alle persone di dedicarsi all’atto di imparare a memoria in alternativa alla schizofrenica inondazione monografica ripetitiva, in modo che le persone possano provare il piacere e la gioia di “gustare l’utilizzo della memoria” e non di subire (sotto le mentite spoglie della libertà) l’ingiusta imposizione della memoria corta (pensate a quanti slogans pubblicitari siamo costretti ad imparare a memoria senza volere, specialmente i bambini, e pensate a quanti slogans pubblicitari siamo costretti a diffondere senza essere retribuiti …).

     Imparare a memoria è un piacere, è una gioia: quando il frammento di un testo, quando un catalogo di parole, quando la definizione di un’idea entra in noi è una sensazione quasi fisica che proviamo; è una gioia del corpo e un piacere dell’anima fare della memoria un talismano contro l’amnesia pianificata dal potere mediatico. Platone temeva che persino la scrittura – la scrittura non usata per riflettere, la scrittura venduta sul mercato – potesse sostituire la memoria e con la memoria andasse perduta una voce interna, si smarrisse il dialogo a “voce viva”.

     In principio, quindi, nello strato più profondo della nostra memoria, troviamo quattro coppie di parole: paura-bisogno, ritmo-ciclo, rete-rito, cerimonia-racconto. Erodoto, ne Le Storie, allude a queste parole degli albori e questo fatto rende Erodoto il più antico antropologo della Storia della cultura. Erodoto, ne Le Storie, per primo, collega queste parole originarie al concetto della memoria …

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quindi il primo compito che ci proponiamo è quello di imparare “a memoria” le quattro coppie di parole degli albori perché sono “forme intellettuali” necessarie in funzione della didattica della lettura e della scrittura …

     Gli studiosi della costruzione del testo (gli studiosi di Letteratura), a proposito di didattica della lettura e della scrittura, ci dicono che le parole degli albori, o meglio, i concetti che le parole degli albori contengono (la paura, il bisogno, il ritmo, il rito, la cerimonia) stanno alla base del genere letterario più antico che si conosca: il genere letterario della fiaba. I brani più antichi di letteratura che noi possediamo (i grandi racconti delle origini – indiani, mesopotamici, cinesi, egizi…– che hanno per tema, principalmente, la creazione del mondo) sono scritti con il genere letterario della fiaba. Ormai da tempo sappiamo che il genere letterario della fiaba non è letteratura per bambini (lo è anche) ma è letteratura di riflessione sulla memoria delle origini e sul tema dell’albero genealogico lessicale.

     Il genere letterario della fiaba è stato studiato da un linguista russo, di San Pietroburgo, che si chiama Vladimir Propp (1895-1970) che ha scritto un libro dal titolo Morfologia della fiaba (1928), uno studio, documentato e approfondito, sulla struttura e sul contenuto della fiaba. Il saggio di Vladimir Propp è un testo tecnico, un trattato di linguistica di non facile lettura ma, dopo quello che abbiamo detto sulle parole degli albori, il frammento del saggio di Propp (quattro righe) che stiamo per leggere ci risulta senz’altro comprensibile e illuminante: leggiamole queste quattro righe:

LEGERE MULTUM….

Vladimir Propp,  Morfologia della fiaba (1928)

Possiamo affermare che la struttura formale della fiaba contiene le parole degli albori, o meglio, i concetti che le parole degli albori esprimono: le paure, i bisogni, i ritmi, i riti, le cerimonie Il genere letterario della fiaba si presenta al lettore come letteratura di riflessione sulla memoria delle origini e sul tema dell’albero genealogico lessicale.

     A questo punto la Scuola (ha un compito arduo…) deve proporre un esercizio di riflessione sulla memoria delle origini e sul tema dell’albero genealogico lessicale. Nel ‘900 il genere letterario della fiaba si è intrecciato spesso con il genere letterario del romanzo e qui pensiamo subito ai romanzi di Italo Calvino: Il Visconte dimezzato, Il Cavaliere inesistente, Il Barone rampante; ma c’è un testo, un romanzo scritto con il genere letterario della fiaba, che ha avuto e che continua ad avere un successo straordinario che s’intitola Il Piccolo Principe scritto e pubblicato nel 1943 da Antoine de Saint-Exupéry.

     Mentre preparavo questo itinerario mi sono detto: «Forse questa è una proposta banale». Ma poi ho pensato: «E se qualcuno non avesse ancora letto Il Piccolo Principe? E se qualcuno non lo avesse riletto da tanto tempo?». Infine ho pensato che fosse necessario riprendere in mano il testo de Il Piccolo  Principe per ribadire che in questo romanzo, scritto con il genere letterario della fiaba, si percepisce bene la tesi che ha espresso Vladimir Propp. Difatti le parole degli albori, che esprimono le paure, i bisogni, i ritmi, i riti, le cerimonie, costituiscono la base del testo de Il Piccolo Principe e se, leggendolo, si sta attenti, queste parole emergono con evidenza. Quindi questo testo è particolarmente adatto per svolgere un esercizio di riflessione sulla memoria delle origini e sul tema dell’albero genealogico lessicale. Credo che tutti conoscano Il Piccolo Principe e il suo autore ma penso sia comunque necessario rinfrescare la memoria.

     Antoine de Saint-Exupéry nasce a Lione il 29 giugno del 1900 da una famiglia aristocratica: suo padre è il conte Jean de Saint-Exupéry e sua madre, Marie Boyer di Fonscolombe, è una pittrice di talento. Antoine rimane orfano del padre a soli quattro anni e viene allevato dalla madre nel castello di Saint-Maurice-de-Rémens. Vive un’infanzia straordinaria di giochi e di esperienze creative, coltivando anche il suo carattere incline alla malinconia e alla nostalgia, con una fissazione: quella di volare, che si traduce nella costruzione di rudimentali paracadute e aggeggi vari da utilizzare lanciandosi dalle mura e dalle torri del castello su mucchi di fieno che non sempre vengono centrati: Antoine è un bambino costantemente acciaccato! Il battesimo dell’aria, per il dodicenne Antoine de Saint-Exupéry, avviene nel 1912, all’aeroporto di Amberieu, sull’apparecchio (di legno e di tela) del pilota Védrines (che diventerà un eroe della prima guerra mondiale come Francesco Baracca): siamo all’inizio della storia dell’aviazione, dei “primi temerari sulle macchine volanti”. Antoine studia, con il fratello François, al Collegio di Notre-Dame-de-Sainte-Croix, retto dai Gesuiti dove acquisisce una solida educazione umanistica. Nel 1921 Saint-Exupéry prende il brevetto di pilota civile, poi quello di pilota militare. Intanto scrive (almeno dieci minuti al giorno) e nel 1926 pubblica il suo primo racconto, L’Aviatore, sulla rivista Le Navire d’Argent e poi, sempre nel 1926, ottiene il primo posto di pilota di linea presso la Compagnia Generale di Imprese Aeronautiche Aeropostali (la futura Air France), che assicura il collegamento Tolosa-Dakar (per portare la posta). Contemporaneamente ai diversi incarichi di pilota in varie compagnie aeree escono i suoi libri (Saint-Exupéry vola e scrive) intitolati: Corriere del sud (1928) e Volo di notte (1931). Nel 1938, nel tentativo di stabilire il record di volo New York-Terra del Fuoco, l’aereo di Saint-Exupéry si schianta al suolo poco dopo la partenza, il pilota si salva per miracolo ma si ferisce gravemente. Durante la convalescenza a New York scrive Terra degli uomini (1939), ma le conseguenze dell’incidente restano irreparabili: Antoine zoppica visibilmente e perde l’agilità necessaria per un pilota. Nel 1939 Saint-Exupéry torna in Francia per partecipare alla seconda guerra mondiale ma viene dichiarato non idoneo dal competente distretto militare. Antoine riesce comunque con una seconda visita fiscale (persuadendo i medici con la sua dialettica) a farsi arruolare nel Gruppo di Grande Ricognizione Aerea e compie molte imprese pericolose (deve fotografare le postazioni dell’esercito tedesco) e narra queste sue avventure in Pilota di guerra (1942). Nel 1941, con la Francia occupata dai nazisti,  torna a New York, dove pubblica Lettera a un ostaggio. Nel 1943, con l’esercito degli Stati Uniti che è entrato in guerra in Europa, Antoine riesce a tornare in azione e, nonostante i divieti per la sua menomazione fisica, riprende a volare nel Gruppo di Grande Ricognizione Aerea che ha la sua sede in Corsica e opera con gli alleati nel sud della Francia. A New York, prima di riprendere il suo posto in aviazione e di tornare in Europa, pubblica Il Piccolo Principe, il cui testo assumerà i caratteri del mito, anche se Antoine de Saint-Exupéry non lo saprà mai.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Abbiamo raccolto questi dati – sulla vita e sulle opere di Antoine de Saint-Exupéry – in modo che ciascuno possa mettersi in ricerca: sull’enciclopedia, sull’atlante, sulla guida della Francia, sulla rete, e possa scrivere (volendo) quattro righe in proposito …

     Il Piccolo Principe è una fiaba che si presenta come un racconto autobiografico.

     «Sei anni fa – racconta Antoine de Saint-Exupéry nella sua fiaba – ebbi un incidente con il mio aeroplano nel deserto del Sahara. Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con me né un meccanico, né dei passeggeri, mi accinsi da solo a cercare di riparare il guasto. Era una questione di vita o di morte perché avevo acqua da bere soltanto per una settimana … potete immaginare il mio stupore – racconta lo scrittore – nell’essere svegliato all’alba da una vocetta che diceva: “Mi disegni, per favore, una pecora?” …E fu così che feci la conoscenza del piccolo principe …».

     Il Piccolo Principe è un bambino che, invece di rispondere alle domande, arrossisce e, quando si arrossisce è come rispondere sì, dice Antoine de Saint-Exupéry: arrossire significa confermare. Il Piccolo Principe è un racconto autobiografico anche perché durante tutta la sua vita Saint-Exupéry ha conservato questa particolarità: di arrossire invece di rispondere quando gli si presentavano situazioni in cui veniva messo in imbarazzo.

     Come il Narratore de Il Piccolo Principe, Saint-Exupéry è un pilota di professione. Lo è stato all’epoca gloriosa dell’aviazione, quando volare su uno di quegli apparecchi era una sfida. Nel 1935, mentre percorreva la linea Tolosa-Dakar (per portare la posta), ha avuto realmente una grave avaria in pieno deserto del Sahara, e fu ritrovato e salvato miracolosamente dagli indigeni quando era ormai pressoché morto di sete. Il bambino (Il Piccolo Principe), che gli si presenta improvvisamente nel deserto, è la materializzazione del ricordo della sua infanzia che lui aveva soffocato: forse, senza quella drammatica avventura, Antoine avrebbe finito per dimenticare la sua dimensione di bambino come di solito succede ai grandi. I bambini vengono spinti a diventare grandi il prima possibile e a dimenticare di essere stati bambini come se questa fosse una condizione di inferiorità.

     Siccome il Piccolo Principe non risponde alle domande non si conosce la sua età, ma è probabile che abbia pressappoco sei anni, l’età di Antoine nel momento in cui – ricorda – gli adulti hanno scoraggiato la sua vocazione per il disegno, per i suoi disegni ricchi di immaginazione perché la mancanza di immaginazione degli adulti è grande e scoraggiante e non sono più in grado di capire che: «L’essenziale è invisibile agli occhi». Il Piccolo Principe insegna che esiste un mondo fantastico, un mondo che non siamo più capaci di vedere, di sentire, di intercettare, fatto di poche cose ma tutte importanti come: la paura della solitudine, il bisogno di legami autentici, il contatto con i ritmi della natura, la necessità dei riti per gustare le cerimonie nella loro essenzialità. Avete sentito? Ci sono tutte le parole degli albori;  e la Scuola consiglia la lettura o la rilettura di questa fiaba.

     Ora possiamo leggerne alcune pagine, leggiamo il famoso capitolo XXI, quello della volpe:

 

LEGERE MULTUM….

Antoine de Saint-Exupéry,  Il Piccolo Principe (1943)

In quel momento apparve la volpe.

«Buon giorno», disse la volpe.

«Buon giorno», rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.

«Sono qui», disse la voce, «sotto al melo»

«Chi sei?» domandò il piccolo principe, «sei molto carino»

«Sono una volpe», disse la volpe.

... continua la lettura ...

     Alla fine Il Piccolo Principe sparisce: forse è tornato sulla sua stella. Qualche mese dopo la pubblicazione del libro, il 31 luglio 1944, il pilota-poeta Saint-Exupéry farà la stessa cosa: partirà per una missione di ricognizione e non farà più ritorno, sparirà nel nulla, sorvolando la Baia degli Angeli al largo di Saint-Raphaél (davanti alla costa Azzurra nel sud della Francia): è stata una distrazione, è stato un incidente, è stato abbattuto dalla contraerea tedesca, è rimasto senza carburante perché, forse, aveva voluto spingersi troppo a nord della Provenza per sorvolare i luoghi della sua infanzia? Sono tutte ipotesi possibili e l’analogia con la fine de Il Piccolo Principe non è meno vera.

     «Il Piccolo Principe» scrive Antoine de Saint-Exupéry: «Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia». «Ma so che è ritornato nel suo pianeta perché al levar del giorno non ho ritrovato il suo corpo».

     Malgrado le ricerche anche il corpo di Saint-Exupéry non è mai stato ritrovato, sembra che nel 2004 (in occasione del 60° anniversario della sua scomparsa) in fondo al mare sia stata avvistata una carcassa che potrebbe essere quella dell’aereo da ricognizione dello scrittore che, comunque, è stato inghiottito dal mare con il suo mistero, proprio lui che, da bambino, era stato soprannominato dalla madre Pizzica-la-luna, per il suo naso all’insù che punta verso l’alto, e non è difficile trovare una fotografia di Antoine de Saint-Exupéry e constatare questo fatto.

     E ora, per concludere, completiamo, in funzione della partenza sul sentiero di Erodoto, la riflessione sul piano della memoria delle origini. La riflessione sul piano della memoria delle origini ci fa capire che l’opera di Erodoto – e lo abbiamo studiato negli itinerari dello scorso anno – è come se fosse una scatola che contiene una serie di oggetti culturali importanti, che ci danno la possibilità di ricostruire il nostro patrimonio intellettuale originario. L’opera di Erodoto è come un contenitore nel quale possiamo trovare i reperti, le prove, le testimonianze della nostra storia più antica di esseri pensanti. Sul testo de Le Storie di Erodoto noi possiamo esercitarci, scavando tra le parole, indagando tra le righe, a scoprire gli elementi fondamentali della nostra archeologia intellettuale (come la chiamano gli studiosi).

     Ne Le Storie di Erodoto emerge, come in filigrana, un catalogo di oggetti culturali che, sotto forma di parole-chiave e di idee-cardinee, rappresenta lo schema intellettuale più antico della Storia del Pensiero Umano. Questo schema intellettuale – il più antico della Storia del Pensiero Umano, secondo l’antropologia culturale – costituisce anche l’oggetto che determina il nostro punto di partenza. La preparazione della partenza è sempre una fase complessa e delicata.

     Siamo nei pressi della fonte Thoùria accanto alla quale troviamo l’albero genealogico lessicale, e i rami più bassi di quest’albero formano il piano della memoria delle origini: sono i quattro rami più antichi che s’identificano con le parole degli albori…

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

In REPERTORIO abbiamo raffigurato il punto di partenza …

paura-bisogno    ritmo-ciclo     rete-rito     cerimonia-racconto

        PIANO DELLA MEMORIA DEGLI ALBORI

     Questo piano, il primo piano dell’albero genealogico lessicale, rappresenta il punto da cui cominciamo a prendere il passo. In quale direzione ci dobbiamo incamminare? Noi dobbiamo prendere la via del mare: quindi c’incamminiamo verso il porto dell’antica Sibari che si trova (domani date un’occhiata all’atlante) alla foce del fiume Crati e kratos in greco significa vigore, esuberanza, floridezza, fecondità. A prua della nostra nave è già salito Erodoto che indica la rotta, ma al timone c’è un capitano che si chiama Agenore di Tiro e ci richiama all’ordine. Ci accingiamo a navigare verso est. La nave del capitano Agenore si chiama Sidonia (è una nave fenicia, come il suo capitano – oggi diremmo che batte bandiera libanese – perché 2500 anni fa sono soprattutto i Fenici, esperti navigatori, ad avere in appalto i trasporti marittimi nel Mediterraneo) e viaggia verso il Mar Egeo: dove ci porta, in quali porti ci porta? Questo, per ora, lo sa solo il capitano Agenore e lo sa Erodoto, che allude e ride sotto i baffi: noi, quale sarà la nostra meta, lo scopriremo la prossima settimana, quindi correte a Scuola …

     La Scuola è qui: il viaggio è appena cominciato, questa sera ci siamo appena dedicati al rituale della partenza, ma «Ci vogliono i riti» dice il Piccolo Principe. E allora, per rispettare il rito, non posso far altro che ripetere: «Correte, numerosi, a Scuola, il viaggio ha inizio» …

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 13, 2006