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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ ALTO-MEDIOEVALE NEL PAESAGGIO INTELLETTUALE DELLA LETTERATURA DEL CORANO S’INCONTRANO I TEMI DELL’HÌGIRA [LA ROTTURA DEI LEGAMI TRIBALI DI SANGUE] E DELL’EDITTO DI MEDINA …

Lezione N.: 
24

Prof. Giuseppe Nibbi    La sapienza poetica e filosofica dell’età alto-medioevale    7-8-9  maggio  2014

Giovanni Visconti-Venosta

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ ALTO-MEDIOEVALE

NEL PAESAGGIO INTELLETTUALE DELLA LETTERATURA DEL CORANO

S’INCONTRANO I TEMI DELL’HÌGIRA [LA ROTTURA DEI LEGAMI TRIBALI

DI SANGUE] E DELL’EDITTO DI MEDINA …

   Con il ventiquattresimo itinerario del nostro viaggio di studio sul territorio della “sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale” ha inizio l’ultima fase del nostro Percorso [dobbiamo percorrere ancora quattro itinerari, più uno breve in contesto conviviale].

   Ci troviamo ancora di fronte al “paesaggio intellettuale della Letteratura del Corano”, e questo vasto e complesso argomento lo abbiamo affrontato seguendo la trafila narrativa con la quale la tradizione islamica illustra la vita di Muhammad, il protagonista [dopo Allāh] del Libro del Corano, un testo che prende forma alla metà del VII secolo, in Età Alto-medioevale, e noi continuiamo ad utilizzare questo metodo. Nel testo della Sira, la vita-modello del Profeta si racconta che, intorno all’anno 620, la predicazione di Muhammad, nonostante le persecuzioni, si era diffusa in molte tribù arabe: come si è verificato questo fatto?

   Il territorio sacro [l’haram] della Mecca, al centro del quale c’è il santuario della Ka’ba, era da tempo immemorabile la meta di un “pellegrinaggio annuale” e, quindi, vi arrivavano moltissimi pellegrini appartenenti a tutte le tribù arabe. Muhammad cerca [sullo stile di Gesù di Nazareth che predica nelle sinagoghe e nell’atrio del Tempio di Gerusalemme] di far conoscere, predicando nei pressi della Ka’ba, il contenuto della sua dottrina. Finché vivono suo zio Abu Talib e sua moglie Kadijia – che sono due personaggi autorevoli nella gerarchia tribale della Mecca – Muhammad è sotto protezione, ma quando, nel 619, entrambi muoiono comincia la persecuzione contro di lui perché nella gerarchia tribale della Mecca prende il sopravvento Abu Lahab [di cui abbiamo già parlato] il quale è, secondo la tradizione, il nemico ufficiale del Profeta. Quindi Muhammad [ci racconta la Sira] deve necessariamente cercare al di fuori della Mecca e al di fuori della sua tribù nuovi alleati che lo possano proteggere perché sta rischiando la vita.

   E, di fronte a questo fatto, dobbiamo imbastire una riflessione perché la scelta di Muhammad è – per la mentalità dell’epoca – trasgressiva e assai rischiosa. Noi pensiamo: «Va beh, uno non si trova bene nella sua tribù e allora emigra in un’altra». Questo è facile a dirsi ma non a farsi perché le tribù [liguri, galliche, filistee, cananee, arabe] sono regolamentate in modo ferreo da “norme consuetudinarie” che si sono consolidate nel tempo: la tribù ha dei “diritti” nei confronti del singolo individuo. In virtù di questo “diritto consuetudinario [‘urf ]” il clan conta più dell’individuo [questo “diritto consuetudinario” è valso, e vale, anche nella famiglia patriarcale] e le regole del clan non prevedono che il singolo individuo prenda iniziative personali se non a suo rischio e pericolo. Nella penisola arabica, quindi, le gerarchie tribali stabiliscono le regole di comportamento tra le diverse tribù, tenendo conto di due fattori fondamentali: il “rapporto di vicinato” che obbliga necessariamente a promuovere accordi, e la stipula di “un’alleanza” che si fonda su un patto che prevede il rispetto di regole. Nel clan tribale [nella famiglia patriarcale] il singolo individuo non ha alcun potere decisionale nello stabilire le regole per entrare e uscire da una tribù di sua spontanea volontà.

   Che cosa rende la tribù [e la famiglia patriarcale] così chiusa all’interno del suo perimetro? La risposta a questa domanda mette al centro una parola-chiave della Storia dell’antropologia culturale: la parola “sangue”, e a questa parola è legata la convinzione – presente in tutte le popolazioni dell’Età assiale – che il “sangue” sia un oggetto che contenga il principio della vita, e questo convincimento rende il “sangue” un elemento culturale e rituale molto importante.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che cosa vi ricorda la parola “sangue” e quale altro termine mettereste accanto a questa parola?...

Scrivete quattro righe in proposito, può sembrare un tema scabroso ma è di vitale importanza…

   Per comprendere l’ideologia tribale [nei confronti della quale Muhammad si ribella] basata sul principio che la tribù ha dei “diritti” nei confronti del singolo individuo dobbiamo imbastire una riflessione [di natura antropologica] sul tema del “sangue”. Su questo tema – soprattutto sotto il profilo letterario – potremmo fare un viaggio intero.

   Il tema del “sangue” lo abbiamo incontrato studiando, negli anni, i Libri del Pentateuco [i primi cinque Libri della Bibbia] e le opere della Letteratura dei Vangeli e sappiamo che nei testi di questi apparati si sostiene che la “salvezza ci viene offerta attraverso lo spargimento del sangue di una vittima immolata”. Poi, studiando le opere della Tragedia greca [in un viaggio fatto più di un decennio fa] abbiamo visto schizzare molto “sangue” e sappiamo che i grandi scrittori tragici [Eschilo, Sofocle, Euripide] si domandavano preoccupati [circa 2500 anni fa]: «Per quale motivo, nonostante possiamo vantare un elevato grado di civiltà, continuiamo ad assistere ad un quotidiano spargimento di sangue? Perché [si domandavano angosciati] tutto questo “male” continua ad attanagliarci, perché tutto questo “sangue versato” continua a soffocarci. Quali sconosciuti germi malvagi ci sono nel nostro profondo?». Pensate che cosa direbbero oggi!

   La parola-chiave “sangue” emerge nel corso della cosiddetta “rivoluzione del Neolitico [della pietra nuova, lavorata]”: la prima grande “rivoluzione culturale” attuata da l’homo sapiens-sapiens che consiste nel passaggio dal sistema frammentario della caccia a quello strutturato dell’allevamento del bestiame e dell’agricoltura. Questo periodo, verificatosi circa centomila anni fa, è durato qualche migliaio di anni. Con l’allevamento e l’agricoltura nasce la prima struttura sociale fondamentale che le studiose e gli studiosi hanno chiamato “il recinto”, ed è questo un oggetto [piuttosto inquietante] che serve, in primo luogo, per regolamentare la “fecondità” e tutelare la “purezza del sangue”. Il “sangue” viene considerato un “elemento vitale” per cui la tutela di questo elemento significa “conservare la vita”, e i nostri antenati neolitici a questo proposito si trovano di fronte ad una contraddizione che devono risolvere facendo delle scelte che determinano [nel tempo] la nascita di istituzioni che abbiamo ereditato: ma in che cosa consiste questa contraddizione? Da una parte i nostri antenati neolitici pensano che se il sangue è l’elemento che dà vita al loro gruppo [numero, potenza, dignità] ne debba essere preservata, difesa e recintata la “purezza”. Dall’altra parte però osservano tragicamente che lo scambio del sangue all’interno del gruppo [l’accoppiamento tra consanguinei in nome della purezza del sangue] ne determina l’indebolimento e la fine. Nascono così due “norme necessarie” che caratterizzano la “rivoluzione del Neolitico” e che hanno evitato la nostra estinzione: il divieto dell’incesto e la costruzione di strutture sociali e rituali per favorire l’incontro tra gruppi diversi [il più possibile affini] in modo da permettere la regolamentazione dello scambio del sangue garantendone anche la “purezza”.

   Queste due “norme necessarie [il divieto dell’incesto e la regolamentazione per garantire la purezza del sangue]” vengono adottate da tutte le “tribù” e il loro rispetto viene garantito dal ferreo controllo delle gerarchie tribali. Il consenso che determina lo “scambio del sangue” viene, quindi, codificato da regole molto severe e si sviluppa, su questa linea ideologica, un istituto fondamentale che prende il nome [lo diciamo in latino secondo la disciplina delle Leggi Giulie volute da Augusto] di “matris monia”: ma il concetto contenuto in queste due parole latine [matris monia] ha lo stesso significato anche in accadico, in cinese, in sanscrito, in ebraico, in greco e anche in arabo. In latino per noi è più facile tradurre l’espressione “matris-monia” da cui deriva il termine “matrimonio” formato dalla parola “monia” che significa “i doveri” e dal genitivo “matris” che significa “della madre” e, quindi, l’essenza dell’istituto del “matrimonio” è racchiusa in questa espressione: “i doveri della madre”, e la riflessione sulla capziosità [sull’ambiguità] di questa locuzione ha animato il dibattito [dal 1700] del movimento di “emancipazione femminile” su di un istituto giuridico tutto improntato a regolamentare la vita materiale delle donne perché il “matrimonio” nasce e si sviluppa fondamentalmente come un affare da donne, come un compito da destinare alla “vita femminile” con una conseguente prassi formativa per cui le donne devono essere addestrate in funzione di questo istituto.

   E per i maschi, in quanto padri, non ci sono doveri [monia] come per le madri? Questo tema per i maschi [sulla via dell’emancipazione] è diventato nei secoli un lento e faticoso terreno di conquista: la parola parallela corrispondente a “matris-monia” è “patris-monia” e, quindi, se il “matrimonio” nasce e si sviluppa come un affare da femmine, il “patrimonio” nasce e si sviluppa come un affare da maschi [questa è la normalità che è andata a lungo determinandosi] e l’istituto del “patrimonio” prevede il possesso dei figli, delle mogli e anche dei loro “doveri”. In tutte le culture dell’età assiale – sumèra, egizia, cinese, indiana, ellenica, ebrea, cristiana, araba – il matrimonio [con i doveri femminili] è trattato come un elemento accessorio del patrimonio [e dei diritti maschili].

   Per rendere le cose più “ordinate” questa disciplina viene comunemente fatta discendere direttamente da Dio, che è pure considerato di genere “maschile”. Le studiose e gli studiosi di antropologia ci fanno notare che, in origine, “i doveri della madre [monia-matris]” corrispondono all’idea che “la responsabilità, sullo scambio del sangue e sulla purezza del sangue del gruppo, ricade sulle donne” e, di conseguenza, una ferrea legislazione incide sulla “vita materiale della donna” in tutte le culture dell’Età assiale: dalla cultura cinese del Libro del Tao, a quella indiana dei Libri dei Veda, dalla cultura ellenica dei Poemi di Omero e di Esiodo, a quella dei Libri dell’Antico Testamento. Nella Letteratura dei Vangeli – in particolare nell’Epistolario di Paolo di Tarso – si cerca di aprire degli spazi di novità sul tema della subalternità delle donne, e la Letteratura del Corano come si esprime a questo proposito? Ne parleremo prossimamente.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che la possibilità straordinaria di “dare la vita [di generare sangue nuovo]” sia costata alle donne la subalternità è un fatto anacronistico…   Che cosa secondo voi [il lavoro, lo studio, la forza, l’aspetto fisico, il carattere, il denaro, la volontà, le regole, o che cosa...] preserva la persona dalla “subalternità”?...

Scrivete quattro righe in proposito...

   Nella legislazione tribale, quindi, la possibilità straordinaria di “dare la vita [di generare sangue nuovo]” fa diventare le donne un “oggetto di scambio” regolamentato dalla società. E la regola tribale vieta anche la libera migrazione dei maschi da una tribù all’altra perché essi non devono andare a “disperdere”, a “contaminare” il proprio sangue tribale come pare a loro in giro per il mondo e, quindi, allontanarsi dalla propria tribù senza il “consenso” di chi comanda è vietato, e stazionare in una tribù non propria senza “permesso di soggiorno” è vietato.

   Quindi, quando Muhammad deve cercare al di fuori della Mecca e al di fuori della sua tribù nuovi alleati che lo possano proteggere trova delle grandi difficoltà. Quando Muhammad [come abbiamo già studiato] si trasferisce a sud, nella città di al-Ta’if, non riceve protezione dalla tribù dei Thaqif perché senza il permesso della tribù di provenienza sarebbe stato illegale accoglierlo e proteggerlo. Muhammad trova una situazione migliore al nord, nell’oasi di Yathrib [Medina]: lì c’è una situazione politica e sociale particolare che diventa determinante per il futuro di Muhammad.

   Nell’area di Yathrib vivono due tribù, Aus e Hazragi, che da tempo, sono in contrasto tra loro. C’è anche una comunità ebraica che ambisce alla gestione del potere quindi il tasso di conflittualità in questa zona è alto ma queste componenti sociali [le due tribù arabe e la comunità ebraica] hanno però l’intenzione di ricomporre i contrasti perché sono consapevoli che lo scontro non giova al loro territorio che è in competizione economica e politica con quello della Mecca. Quindi a Yathrib i dirigenti delle varie componenti sociali stanno cercando un “mediatore politico” e Muhammad viene considerato adatto a ricoprire questo ruolo anche perché, ideologicamente, il pensiero di Muhammad è affine alla mentalità che circola a Yathrib. A Yathrib non c’è il santuario politeista ma c’è un gruppo molto attivo di cultori [gli hanīf] del monoteismo “abramitico” e poi, naturalmente, anche l’attiva comunità ebraica è rigorosamente monoteista in nome di Abramo. Quindi il “messaggio profetico” proveniente dal Dio Unico predicato da Muhammad trova a Yathrib degli ascoltatori attenti.

   Il testo della Sira, la Vita modello del Profeta ci racconta che alcuni abitanti di Yathrib hanno cercato un contatto con Muhammad quando si sono recati in pellegrinaggio alla Mecca perché l’hanno sentito predicare nell’anno 621 e 622. Questi osservatori di Yathrib, tornati nella loro città, propongono ai capi tribù e ai dirigenti della comunità ebraica un incontro segreto con Muhammad. Gli incontri segreti saranno due e si terranno ad al-‘Aqaba, una collina nei pressi della Mecca. Non è casuale il fatto [come racconta la Sira] che al primo di questi incontri siano presenti dodici uomini [come gli Apostoli intorno a Gesù e come le dodici tribù d’Iraele?] i quali stipulano con Muhammad il cosiddetto patto di al-‘Aqaba.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è l’ultima volta che avete detto a qualcuno: «Facciamo un patto»?...

Scrivete quattro righe in proposito…

   Il patto di al-‘Aqaba non contiene vincoli di natura religiosa, come avrebbe voluto Muhammad, ma doveri di carattere amministrativo perché a Yathrib, per ora, hanno bisogno di un “mediatore politico [un hakam]” capace di attenuare i contrasti e di amalgamare le diversità e, quindi, Muhammad – il quale non ha molta scelta perché alla Mecca non c’è più posto per lui – è costretto ad assumere decisamente un ruolo politico per portare avanti il suo progetto religioso ed è per questo che religione e politica nella cultura islamica sono profondamente legate.

   Il patto tra Muhammad e i maggiorenti della città di Yathrib viene stipulato nel giugno dell’anno 622 e Muhammad pensa che a Yathrib le condizioni per la predicazione del suo messaggio religioso incentrato sul monoteismo siano favorevoli perché a Yathrib, a differenza della Mecca, non ci sono interessi economico-politici da difendere legati al politeismo.

   L’episodio dell’allontanamento di Muhammad dalla città della Mecca e l’accoglienza che riceve a Yathrib – città che prenderà il nome di “Madinat an-nabi [la città del Profeta]” – viene ricordato storicamente con il nome di “ègira”: parola spesso erroneamente tradotta con l’espressione “fuga a Medina”. Nella lingua araba la parola “higira” contiene, oltre al senso “dell’allontanarsi”, soprattutto il senso di “rompere i legami tribali” e questo grave atto significa “modificare i rapporti di sangue, stipulare un nuovo patto di sangue” e, infatti, la Letteratura del Corano usa la parola “sangue” [e questo vale anche per la Letteratura dell’Antico Testamento] sempre nell’ambito del diritto tribale in vigore nel VII secolo [in Età Alto-medioevale] e questo fatto non può essere ignorato se si vuole capire l’attività di Muhammad a Medina.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quante volte avete cambiato residenza in vita vostra?...

Scrivete quattro righe in proposito...

   Che cosa ci racconta di interessante la tradizione dal punto di vista letterario in relazione allo spostamento di Muhammad dalla Mecca a Medina? Il testo della Sira, la vita modello del Profeta racconta questo avvenimento mettendo insieme come al solito: l’ideale religioso [la fede], la prassi politica [la politica], alcuni frammenti storicamente attendibili [la storia] e molti elementi leggendari [la leggenda]. Leggiamo questo significativo brano della Sira.

LEGERE MULTUM….

Ibn Ishaq-Ibn Hisam,  Sira - La vita-modello del Profeta

Alcuni abitanti di Yathrib, appartenenti alla comunità degli hanīf [i monoteisti], cercarono il contatto con Muhammad, alla Mecca, nei giorni del sacro pellegrinaggio [negli anni 621 e 622]. Essi concordarono due incontri segreti con Muhammad ad al-‘Aqaba, una collina sulla strada dalla Mecca ad al-Mina. Al primo incontro erano presenti dodici uomini, i quali sancirono con Muhammad un patto che non conteneva obblighi religiosi ma che affidava a lui la carica di arbitro, di mediatore politico [hakam]. Da questo momento, questi devoti di Yathrib legati a Muhammad, furono chiamati ausiliari [ansar]”. Come garanzia al patto, Muhammad decise di inviare a Yathrib, insieme ai dodici uomini, il suo caro discepolo Mus’ab ibn ‘Umayr e lo incaricò di recitare loro la Rivelazione [Qur’an], di insegnare loro ad abbandonarsi nelle mani di Dio [islàm] e di istruirli nella religione. Mus’ab divenne così il primo capo della preghiera [imam] a Yathrib poiché nessuna tribù degli ausiliari doveva essere favorita [Secondo la Sira, secondo la tradizione, il patto politico tra le tribù di Yathrib è strettamente collegato al patto religioso: è la preghiera, è la Fede che unisce le persone]. L’anno successivo si svolse un secondo incontro, per il quale Mus’ab venne alla Mecca da Yathrib con un numero maggiore di ausiliari disposti ad aiutare Muhammad, e in questa occasione venne sancita una vera e propria alleanza segreta. Muhammad strinse l’alleanza con i devoti di Yathrib con queste parole: «Il sangue è sangue, e il sangue versato è sangue versato; voi mi appartenete e io vi appartengo; io combatto colui che combatte voi e sono in pace con colui che è in pace con voi».

   Non si deve ignorare che la “mentalità di Muhammad” è quella di una persona del suo tempo [del VII secolo], e la sua è una mentalità influenzata dalle regole del “diritto tribale [dei patti di sangue]”. Il “diritto tribale [la cultura del patto di sangue]” è patrimonio di tutte le popolazioni che, con l’implosione dell’Impero romano d’Occidente [dal V secolo] hanno colonizzato l’Europa in Età alto-medioevale: gli Eruli, i Burgundi, i Vandali, gli Ostrogoti, i Visigoti, i Longobardi, i Franchi. Una mentalità che noi, gente del XXI secolo, definiamo arretrata senza renderci conto di non averla affatto superata: continua a covare nelle nostre menti l’eredità delle consuetudini tribali. Dalla consuetudine del “patto di sangue” nasce anche – l’apparentemente innocua – espressione “buon sangue non mente”.

   Vogliamo adesso utilizzare questa espressione [“buon sangue non mente”] per alleggerire il tema legato alla parola “sangue”: avevo pensato inizialmente [progettando il percorso del viaggio] di leggere il finale del romanzo Il calore del sangue di Irène Némirovsky del quale abbiamo letto quasi tutto il testo per ben sette settimane ma poi ho pensato che questo esercizio lo avrete già fatto per conto vostro e non avrebbe contribuito ad alleggerire il tema.

   L’ambiguo modo di dire “buon sangue non mente” è stato utilizzato da uno scrittore francese per fare una riflessione di carattere umoristico in chiave sarcastica: questo scrittore si chiama Alphonse Allais [e l’abbiamo già incontrato un paio di volte nel corso dei nostri viaggi]. Alphonse Allais è nato a Honfleur nel 1854 ed è morto a Parigi nel 1905 e ha vissuto in un periodo particolarmente creativo delle arti francesi, nel ventennio tra il 1880 e il 1900 [la Belle Epoque], e si è cimentato in un genere difficile: il breve racconto umoristico. Alphonse Allais è un “fumiste”, un “burlone arguto e intelligente” [una categoria alla quale appartiene anche il nostro Achille Campanile] che con le sue “fumisteries [i suoi testi ironici e surreali]” è stato capace di descrivere un’epoca in modo molto efficace. Il “breve racconto umoristico” è un genere destinato ad essere legato allo spirito del suo tempo e, quindi, è particolarmente deperibile: i racconti di Alphonse Allais, invece, col tempo, hanno acquistato “un aroma fragrante e sottile” e dagli anni ’60 sono stati riscoperti e particolarmente apprezzati dalle studiose e dagli studiosi di linguistica e perciò sono stati raccolti e ripubblicati e costituiscono un interessante materiale di lettura. Molte sono ancora le notizie che potremmo dare sulla vita e sull’opera di Alphonse Allais e non mancherà l’occasione di incontrarlo altre volte per completare una riflessione in tono ironico, sarcastico, surreale.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nel 1987 un certo numero di racconti di Alphonse Allais sono stati tradotti in italiano e pubblicati con il titolo “Un dramma davvero parigino e altri racconti” e questo testo lo trovate in biblioteca…

   E ora leggiamo un racconto dove l’autore ironizza sull’ambiguo modo di dire: “buon sangue non mente” che si diffonde in una società sclerotizzata nei suoi luoghi comuni [donne leggere, uomini imbecilli, nani cattivi, giganti casti, esposizioni molto universali].

LEGERE MULTUM….

Alphonse Allais, Un dramma davvero parigino e altri racconti

EXCENTRIC’S - BUON SANGUE NON MENTE

Per un bizzarro fenomeno di associazioni d’idee (abbastanza comune d’altronde ai giovanotti del mio tempo abituati a pensare che buon sangue non mente) l’Esposizione del 1889 mi riporta alla memoria quella del 1878.

A quell’epoca, dieci primavere di meno inghirlandavano la mia fronte. È da non credersi come s’invecchi tra un’Esposizione Universale e l’altra, specie quand’esse son separate da un lasso di tempo considerevole.

 

 

 

   Le parole attribuite a Muhammad in riferimento alla “vendetta di sangue” sono, secondo la tradizione, legate ad un fatto molto concreto e la tradizione ci fa sapere che, poco prima della partenza per Yathrib, Muhammad subisce un attentato: i Qurays, i membri della sua tribù, tentano di ucciderlo perché ostacola i loro affari e la tradizione ci racconta che il viaggio di Muhammad verso Yathrib, dal 16 luglio al 20-25 settembre del 622, è un viaggio assai rischioso e, ancora una volta, si conclude positivamente per l’intervento miracoloso di Dio che protegge il suo Messaggero. I Qurays, non essendo riusciti ad uccidere Muhammad alla Mecca, lo braccano sulla strada verso Yathrib: questo è un fatto storico che la tradizione riporta introducendo interessanti elementi leggendari, e per ricostruire questo episodio dal punto di vista letterario dobbiamo partire dalla fonte primaria, dal testo del Corano e, per la precisione, dalla IX. La sura della Conversione o dell’Immunità.

   La IX. La sura della Conversione o dell’Immunità si compone di 129 versetti e dà quindi forma ad un testo lungo e complesso. Questa è l’unica sura che non possiede la formula introduttiva “Nel nome di Dio, clemente misericordioso!”, e questo perché, inizialmente, con molta probabilità, il testo della “IX sura” era tutt’uno con il testo della sura precedente [l’VIII], ma la commissione istituita dal califfo di Utman [nel 650 circa, per mettere in ordine il testo del Corano] ha deciso di staccare i due brani perché le Rivelazioni della “sura IX” sono molto più tarde di quelle raccolte nella sura precedente, l’VIII sura. Sembra che il testo della “IX sura” sia il penultimo che è stato rivelato a Muhammad. Il linguaggio della IX. La sura della Conversione o dell’Immunità è molto complesso a cominciare dall’inizio perché l’inizio di questa sura presenta uno dei più complicati problemi di interpretazione della Letteratura del Corano e le studiose e gli studiosi di filologia hanno rinvenuto in questi primi dieci versetti il testo di due “proclami” ricuciti insieme in cui viene fatta una “promessa di immunità agli idolatri”: ma a quali idolatri e in quale occasione? Ebbene, le interpretazioni date e le ipotesi fatte a questo proposito sono moltissime: la “promessa di immunità agli idolatri” è una  necessità di carattere storico e politico nata in un contesto non ben identificato legato ad una richiesta di resa.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La parola “immunità” richiama i termini: esenzione, dispensa, esonero... Che cosa vi fanno venire in mente queste parole?...

Scrivete quattro righe in proposito...

   A noi della sura IX adesso interessa il versetto 40 in riferimento al tema del viaggio avventuroso di Muhammad dalla Mecca verso Yathrib. Leggiamolo.

LEGERE MULTUM….

IX. La sura della Conversione o dell’Immunità   40

Se voi non lo assisterete, ebbene già lo ha assistito Dio quando gli infedeli lo scacciarono, lui con un solo compagno [Abu Bakr?], e quando essi erano nella caverna, e quando egli diceva al suo compagno: «Non ti rattristare! Siamo nelle mani di Dio!».

E Dio fece scendere su di lui la Sua Divina Pace e lo confermò con schiere invisibili, e la parola di coloro che respinsero la fede la ridusse in basso, e levata in alto fu la parola di Dio, e Dio è certo potente sapiente pacificatore.

   La prima considerazione da fare su questo frammento riguarda il tema della Pace [la Sua Divina Pace, scritto con la maiuscola]: la Letteratura del Corano esalta la Pace [in metà delle sure si ripete l’affermazione: “scenda la Sua Divina Pace”] e uno degli attribuiti di Dio è quello di essere un “pacificatore”, quindi, la guerra che il Profeta deve sostenere è una tragica necessità.

   Ma che significato ha il versetto che abbiamo appena letto? La tradizione sostiene che questo versetto si riferisce al viaggio avventuroso di Muhammad dalla Mecca verso Yathrib. Muhammad parte dalla Mecca per ultimo, dopo che il gruppo dei suoi seguaci si era già messo in marcia, e rimane con un “solo compagno”: il fedele compagno di cui parla il versetto 40 della “sura IX” è [secondo la tradizione] Abu Bakr, che poi diventerà suo suocero perché Muhammad sposa la figlia di Abu Bakr, Aiscia, che è considerata la moglie prediletta del Profeta. Muhammad e Abu Bakr mentre sono in fuga vengono intercettati dai Qurays che li stanno inseguendo per ucciderli: la loro situazione è molto difficile e non resta loro che rifugiarsi in una caverna e sperare in Dio.

   Il testo della Sira, la vita-modello del Profeta prende spunto [dalla fonte canonica primaria] dal versetto 40 della “sura IX” che abbiamo letto e lo completa con la “fonte secondaria della tradizione”, con gli hadit, con ciò che narrano i molti racconti leggendari che sono nati intorno alla fuga avventurosa di Muhammad e di Abu Bakr dalla Mecca inseguiti dai nemici che non danno loro scampo. La Sira ci presenta il Profeta che mantiene la calma e spera con fede nell’aiuto di Dio: si affida nelle mani di Dio [islam], e Dio lo aiuta. Ma leggiamo che cosa ci racconta la Sira in proposito.

LEGERE MULTUM….

Ibn Ishaq-Ibn Hisam,  Sira - La vita-modello del Profeta

Muhammad partì dalla Mecca con animo sereno convinto che Dio lo avrebbe protetto dalla caccia dei Qurays. Agli infedeli non era sfuggito che Muhammad aveva trovato l’appoggio di nuovi alleati, e temevano, a ragione, che sarebbero stati danneggiati se l’avessero lasciato andare. Guidati da Abu Giahl, avevano ordito un complotto per ucciderlo. Al complotto dovevano partecipare i membri del maggior numero possibile di tribù, in modo da dividere la colpa del delitto. Ma Muhammad fu avvertito dall’arcangelo Gabriele e riuscì a sfuggire al pericolo.

Muhammad intraprese di notte il viaggio verso Yathrib insieme con il fedele compagno Abu Bakr. Tutti gli altri suoi fedeli lo avevano già preceduto nel viaggio.

Ma i Qurays li inseguirono e riuscirono ad intercettare le loro tracce. La notte era buia e Abu Bakr cominciò ad avere paura e si rattristò. Muhammad gli disse sottovoce: «Non ti rattristare! Siamo nelle mani di Dio!». Poi indicò al compagno una caverna nella quale rifugiarsi, ma Abu Bakr disse: «Qui ci troveranno! Tu fuggi, io cercherò di fermarli con un combattimento, il sangue è sangue, e il sangue versato è sangue versato, tu mi appartieni e io ti appartengo, o Messaggero di Dio [rasul Allàh], io combatto colui che combatte te e sono in pace con colui che è in pace con te».

Ma Muhammad rispose: «Abbi Fede, non ti rattristare! Siamo nelle mani di Dio!» E spinse il compagno nella caverna. E Dio li difese con schiere invisibili: ordinò a un ragno di tessere la tela sull’entrata della caverna per renderla intatta. Quando il ragno ebbe terminato di tessere, la luna spuntò e il suo chiarore fece brillare la sua opera.

Gli uomini di Abu Giahl che perlustravano la zona a caccia dei fuggiaschi furono sviati da questa opera miracolosa e passarono oltre! Muhammad e il suo compagno furono salvi per opera di Dio potente sapiente. All’alba ripresero il viaggio nel nome di Dio, clemente misericordioso!

   Tra il 20 e il 25 settembre dell’anno 622 Muhammad giunge a Yathrib che sarà poi nota col nome di “Madinat an-nabi [la città del Profeta]”: Medina. Oggi Medina è una città di circa 200 mila abitanti che fonda ancora la sua economia sul commercio di prodotti agricoli [il frumento, l’orzo, gli agrumi, l’uva, le banane, i datteri] ma soprattutto sul turismo religioso. Al centro della città c’è la Grande Moschea, la cui costruzione è iniziata nel 703, che contiene la tomba del Profeta.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando una guida dell’Arabia Saudita e la rete fate una visita alla città di Medina

   Muhammad viene accolto dalle autorità di Yathrib [di Medina] come “perseguitato” dalla classe dirigente della Mecca e gli viene affidato [come abbiamo detto] il ruolo di “mediatore politico [hakam]”. A Yathrib c’è una forte tensione sociale tra i vari clan che hanno bisogno di un arbitro, di uno al di sopra delle parti, e fare l’arbitro in questa situazione non era cosa facile, ma Muhammad rivela una serie di aspetti significativi [probabilmente anche per lui è una rivelazione] che emergono dal suo carattere e della sua personalità: diventa [con un ampio consenso] un capo politico, un esperto mediatore, un valente statista, un competente “pastore di uomini” che “conosce profondamente il cuore umano [da vero Padre del deserto]”. E il fatto di assumere un ruolo “politico” non diminuisce [anzi, fa aumentare] la sua profonda e intensa passione religiosa, e queste due caratteristiche si fondono tra loro, anche se, a Yathrib, prevale il suo “ruolo politico”.

   Come si impegna concretamente dal punto di vista politico Muhammad nel suo nuovo e delicato ruolo di “mediatore”? Il frutto dell’impegno politico di Muhammad a Yathrib è il famoso Editto di Medina del 623, considerato autentico da tutte le studiose e gli studiosi, e chiamato la “Costituzione della comunità di Medina”. Le studiose e gli studiosi di filologia hanno dimostrato che il testo di questo Editto non è unitario ma è composto da vari documenti indipendenti tra loro e poi unificati. Con questo Editto vengono regolati i nuovi rapporti fra i vari gruppi che formano la popolazione di Medina, una città nella quale devono convivere gruppi diversi: i mussulmani [i credenti] emigrati dalla Mecca insieme a Muhammad [muhagirun], i mussulmani di Medina detti “ausiliari [ansar]”, i pagani di Medina, gli ebrei riuniti in tre grandi clan [Nadir, Qurayza, Qaynuqa]. L’Editto di Medina contiene una rivoluzionaria innovazione rispetto alle antiche usanze della cultura tribale araba [e non solo araba] basata sull’affinità del sangue: gli abitanti di questa città [dice il testo dell’Editto] possono stare insieme non tanto per affinità di sangue o perché appartengono allo stesso clan ma perché sono “credenti [muslim]”, sono devoti e si affidano alla fede in Dio. Il principio che tiene unite le persone non è più l’essere consanguinee ma è avere Fede nello stesso Dio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi avete partecipato alla stesura di un “documento”?

Scrivete quattro righe in proposito…

   Su questo presupposto prende vita un “nuovo popolo”, una nuova grande tribù governata dalla volontà di Dio e questo fatto in termini pratici che significato ha? Significa che tutti gli obblighi “tribali” – i patti di vicinato, di scambievole difesa e protezione – che prima vigevano fra i membri di uno stesso clan consanguineo ora entrano in vigore nell’ordinamento del “nuovo popolo” e non più in modo biologico ma religioso: secondo la Fede, quindi, secondo una dimensione culturale. Se prima erano i consanguinei a prender le difese dei loro consanguinei ora saranno i “credenti” a prendere le difese dei “credenti” e la Fede, non più il sangue, diventa il collante nei rapporti umani e nei rapporti sociali.

   Il lavoro di mediazione più complicato Muhammad lo deve svolgere con i clan degli ebrei che si considerano già a pieno titolo un “popolo della Fede”: un popolo che ha già fatto un’alleanza [la berit] con quello stesso Dio. L’Editto di Medina è un vero e proprio documento di mediazione [non di imposizione reciproca]: gli ebrei dei clan di Medina [dice l’Editto] formano un popolo solo con i credenti mussulmani mantenendo la loro Fede e le loro Leggi e, inoltre, gli ebrei e i mussulmani si impegnano ad aiutarsi scambievolmente, a non tradirsi e ad essere fedeli in caso di aggressione.

   L’Editto di Medina viene scritto perché i governanti della Mecca stanno dando la caccia a Muhammad e l’ospitalità di Yathrib a Muhammad suona come una “dichiarazione di guerra”, e la guerra [per motivi economici] era già in corso tra la Mecca e Yathrib e si intensificherà.

   L’atteggiamento di Muhammad nei confronti degli ebrei è di grande apertura perché egli considera l’ebraismo [e Abramo è il capostipite del monoteismo] in accordo con la sua predicazione: ed è proprio per questo motivo che ci rimane molto male quando gli ebrei di Medina tradiscono il patto e, per motivi economici soprattutto, si alleano con i Qurays della Mecca e questo spiega l’atteggiamento di durezza e anche di rappresaglia che si manifesterà verso questi ebrei e quando la Letteratura del Corano parla male degli ebrei si riferisce agli “ebrei di Medina” non agli ebrei in generale.

   L’Editto di Medina contiene l’idea che il capo e il sovrano della “nuova comunità” è Dio stesso che entra in continuo contatto con gli esseri umani attraverso i Profeti. Le Rivelazioni ricevute da Muhammad a Medina costituiscono il corpus delle cosiddette “sure medinesi” e c’è una variazione di linguaggio tra le “sure meccane” e le “sure medinesi”: le “sure meccane” hanno un’impronta di carattere prettamente religioso mentre nelle “sure medinesi” Dio interviene spesso, per bocca del Profeta, per risolvere questioni pratiche, organizzative, per rispondere a domande materiali dei credenti. Quando Muhammad è in difficoltà di fronte ad una decisione da prendere, ecco che, spesso, si isola, prega, e riceve una Rivelazione risolutiva e quel Dio che alla Mecca gli si presentava in forme apocalittiche a Medina diventa una guida permanente, pacata e determinata.

   La questione fondamentale che Muhammad deve affrontare a Medina è quella della guerra contro i Qurays della Mecca. L’immagine di Muhammad in Occidente è sempre stata più quella di un “condottiero” piuttosto che quella di un “profeta” perché il successo militare dell’islàm è stato, per l’Europa, molto più evidente rispetto alla specificità religiosa della Rivelazione. Per capire l’aspetto militare dell’islàm bisogna ricollegarsi alla cultura tribale dell’antica Arabia a cui Muhammad è per tradizione profondamente legato e la Letteratura del Corano – le “sure medinesi” in particolare – contengono un vero e proprio “poema” sulla guerra guerreggiata anche se non viene affatto esaltata la “guerra per la guerra”: il valore universale, per il Corano, è la Pace. La guerra combattuta di cui si parla nella Letteratura del Corano è la specifica guerra contro i Qurays della Mecca: un male necessario da affrontare, innanzitutto per salvare la pelle e poi per la sopravvivenza stessa dell’ideale monoteista per cui Muhammad sente l’esigenza di combattere, di dare la vita, in nome della fedeltà al Dio-Unico [con la stessa mentalità presente nei Libri dei profeti anteriori - il Libro di Giosuè, il Libro dei Giudici, i due Libri di Samuele, i due Libri dei Re - dell’Antico Testamento] e, anche in questo caso, per invogliare i combattenti [piuttosto renitenti] si promettono degli incentivi ultraterreni [perché in battaglia è probabile che si muoia].

   Il tema della guerra nella Letteratura del Corano è relativo alla storia delle cosiddette “campagne militari” del Profeta: un argomento piuttosto complesso che riguarda il decennio che va dal 622 [da l’ègira a Medina] al 632 [la data di morte di Muhammad]. Quelle che vengono chiamate “campagne militari” sono spesso delle scaramucce combattute da piccoli gruppi di persone o delle razzie col sistema del “mordi e fuggi” per far bottino [di cibo e di armi] che nella Letteratura del Corano e nei racconti della tradizione [negli hadit] diventano mitiche battaglie corredate da molti elementi leggendari.

   La guerra tra le due principali città arabe ha [come tutte le guerre], prima di tutto, delle motivazione di carattere economico e i seguaci del Profeta che si sono rifugiati dalla Mecca a Medina non potendo né commerciare né coltivare sono degli indigenti [devono essere nutriti ed alloggiati] e quindi, per quanto pochi siano, incidono negativamente sull’economia della città e, di conseguenza, l’unica forma di sostentamento diventa il bottino di guerra [la più antica forma di sussistenza tribale]. La tradizione attribuisce a Muhammad questa semplice preghiera: «Signore! I miei compagni sono a piedi: dona loro delle cavalcature. Sono nudi: vestili. Hanno fame: saziali!» e, quindi, in principio, la volontà di combattere deriva dalla disperazione per sopravvivere.

   Tre sono gli avvenimenti più importanti di questa guerra. Il primo di questi avvenimenti è la battaglia di Badr nella quale il piccolo esercito di Muhammad acquisisce la prima vittoria sui Qurays della Mecca: a Badr, una località a circa 105 chilometri da Medina, nel marzo 624, un piccolo gruppo di mussulmani, piuttosto disperati, sconfigge l’esercito dei Qurays composto, dice la tradizione, da “mille uomini”, ma probabilmente si esagera molto sui numeri. Questa situazione fa sembrare agli occhi dei credenti di allora lo scontro di Badr un evento miracoloso e significativo.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Riflettendo in termini pacifici: quando avete conseguito una vittoria?...  E il buon risultato è dipeso più dalla vostra preparazione o dalla fortuna?...   

Scrivete quattro righe in proposito...

   La battaglia di Badr è un “evento” citato in tre sure del Corano dove si dà una spiegazione teologica del successo e si dichiara che “Dio è l’artefice della vittoria”. Leggiamo un versetto, il 17, della VIII. La sura del bottino.

LEGERE MULTUM….

VIII. La sura del bottino   17

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

Ma non voi li uccideste, bensì Dio li uccise, e non eri tu a lanciar frecce, bensì Dio le lanciava; e questo per provare i credenti con buona prova, poiché Dio è ascoltatore sapiente.

   Queste parole derivano dalla mitologia biblica [è un linguaggio tipico dei Libri dei profeti anteriori] e servono per coltivare l’idea che “Dio combatte in favore dei suoi fedeli” e questo è un incentivo a battersi valorosamente, anche in pochi e con scarsi mezzi a disposizione.

  Nel 625 i Qurays si prendono la rivincita nella battaglia di Uhud ed è quasi un disastro completo per i mussulmani: lo stesso Muhammad rimane ferito e muoiono in questo violento scontro alcune figure importanti della comunità islamica delle origini come Hamza, zio di Muhammad e Mus‘ab ibn ‘Umayr che Muhammad aveva mandato a Medina a preparargli la strada e a radunare quei dodici uomini che Muhammad aveva poi incontrato di nascosto nei pressi della Mecca e con i quali aveva stipulato il patto che ha portato all’Editto di Medina. Dopo questo combattimento Muhammad si rende conto di non poter essere così sicuro del sostegno di Dio ma, anche in questo caso, la Letteratura del Corano dà una spiegazione teologica della sconfitta: Dio non ha abbandonato i credenti ma le cause della disfatta sono da ricercarsi nella loro incostanza nel combattere e poi perché Satana ci ha messo lo zampino.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Un vostro insuccesso è stato determinato da qualcuno che ci ha messo lo zampino?...

Scrivete quattro righe in proposito...

   Nella sura III. La sura della famiglia di ‘Imran – che abbiamo già descritto a suo tempo – al versetto 155 si legge:

LEGERE MULTUM….

III. La sura della famiglia di 'Imran   155

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

E quelli di voi che, il giorno che si scontrarono gli eserciti, si trassero indietro, fu Satana a farli cadere, per qualche colpa che avevano commesso.

   Il conflitto tra la Mecca [i Qurays politeisti] e Medina [i compagni monoteisti di Muhammad] assume sempre di più una forte connotazione di carattere economico: si tratta di controllare le vie del commercio, le vie dei traffici da sud verso nord e questo conflitto raggiunge una dimensione che comprende anche le regioni circostanti alle due città e tanto i Qurays meccani quanto Muhammad cercano alleanze tribali.

   Dalle fonti risulta con certezza che Muhammad nel corso del conflitto capisce l’utilità di sfruttare l’ideale pan-arabo e s’impegna a far capire come sia importante [sul piano economico, politico e sociale] che le tribù della penisola araba si riuniscano in uno Stato unitario [che abbiano una loro Costituzione] e, a questo proposito, attua un’abile politica di alleanze.

   All’inizio del 627 l’esercito coreiscita della Mecca si schiera davanti a Medina con un esercito imponente [secondo la tradizione] mettendola sotto assedio. Ci racconta la tradizione che il consigliere militare di Muhammad, un persiano di nome Salman, aveva già fatto scavare ai mussulmani un ampio fossato intorno alla città: così largo che un cavallo non lo poteva saltare, non lo poteva superare. Questo fossato favorisce la difesa e la resistenza degli assediati e questa situazione asseconda l’esercizio della trattativa piuttosto che lo scontro armato. In questa cosiddetta “guerra del fossato” difatti gli eserciti combattono pochissimo e alla fine i capi dell’esercito della Mecca, dopo una serie di incontri con Muhammad, decidono di ritirarsi [questo assedio sta costando troppo in termini di risorse] e questo fatto consolida il potere di Muhammad sul piano politico.

   Intanto sempre più abitanti della Mecca [soprattutto i giovani] lasciano la città e si uniscono a Muhammad spostandosi a Medina e così ha termine il periodo della difesa e comincia per Muhammad il periodo dell’espansione: numerose tribù beduine aderiscono alla sua dottrina e – anche se spesso lo fanno per puro opportunismo economico – si mettono ai suoi ordini.

   Un argomento che in Occidente ha fatto sempre discutere è quello della “guerra santa” che il Corano propugnerebbe ad oltranza. Il termine “jihad” è un termine che è stato comunemente tradotto con l’espressione “guerra santa”: ma questo fatto è un po’ paradossale perché nel Corano il termine “guerra” corrisponde alla parola “muqàtala”, mentre il “jihad” significa “sforzo”, ed è principalmente lo “sforzo dei giureconsulti nella ricerca di una soluzione giuridica che sia equilibrata”, e poi significa lo “sforzo compiuto su se stessi per il perfezionamento morale e religioso”, quindi, lo sforzo da fare per superare il proprio egoismo e le proprie passioni. Nella Letteratura del Corano viene escluso qualsiasi tipo di guerra per convertire all’islàm: il termine “guerra santa” non esiste propriamente nel Corano, né negli hadit perché per il Corano “nessuna guerra può dirsi santa” ma c’è fondamentalmente un invito a vivere “in santa pace”.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Che cosa è stata la “pace” nella vostra esperienza: una tregua, una riappacificazione, una riconciliazione, un’intesa, una quiete, un relax, o che cosa?...

Scrivete quattro righe in proposito...

   Nella Letteratura del Corano c’è un “poema” sulla guerra [così come lo troviamo nel Libro dei Giudici dell’Antico Testamento] e, come sappiamo, si tratta di una “sporca guerra guerreggiata” tra mussulmani e meccani per la conquista del potere politico, economico, sociale e religioso e in questo “poema sulla guerra” quando si invita a combattere decisamente contro “quelli che non credono in Dio [i miscredenti]” si tratta dei Qurays e quando si invita a combattere decisamente “quelli che hanno ricevuto la Scrittura e non si attengono alla religione vera” si tratta degli ebrei dei clan di Medina che si sono schierati con i Qurays e, di conseguenza, il concetto della guerra nella Letteratura del Corano è circoscritto allo scontro tra Medina e la Mecca. Per giunta l’elemento caratteristico che salta di più agli occhi in questo “poema sulla guerra” è che, giustamente, tra i mussulmani c’è chi, di combattere, proprio non ne ha voglia, non se la sente, vorrebbe imboscarsi: ci vuole proprio un forte invito di Dio per convincere tutti a impegnarsi in battaglia, a rischiare la vita. Il famoso concetto “del sangue versato in guerra” che dà diritto al Paradiso con tanto di freschi ruscelli, beni materiali e di bellissime fanciulle, va collocato nell’ottica che è necessario un forte incentivo “virtuale” che renda il combattere un po’ accattivante, perché la guerra è gradita a pochi.

   Per la Letteratura del Corano “nessuna guerra può dirsi né santa né gradita” ma ci sono momenti in cui bisogna combattere per non soccombere, e questa è un’idea che sussiste in tutte le culture. Leggiamo sul testo della IV. La sura delle donne dal versetto 71 al 74.

LEGERE MULTUM….

IV. La sura delle donne   71-74

Nel nome di Dio, clemente misericordioso!

O voi che credete! State in guardia! Lanciatevi contro il nemico in gruppi distinti o in massa compatta. Certo tra voi c’è qualcuno che rimane nelle retrovie e se vi capita qualcosa dice: Dio mi ha dato la grazia di non essere presente con gli altri alla battaglia. Quando invece le cose vanno per il meglio, come se nulla fosse dice: avesse voluto il Cielo che fossi stato con loro per poter vantare lo stesso successo.

Combattano dunque sulla via di Dio coloro che volentieri scambiano la vita terrena con l’altra, perché noi daremo una grande ricompensa sia che venga ucciso sia che sia vincitore. …

   E ora leggiamo due frammenti dalla IX. La sura della Conversione o dell’Immunità.

LEGERE MULTUM….

IX. La sura della Conversione o dell'Immunità   29   38-52

Combattete coloro che non credono in Dio e nel giorno estremo, e che non ritengono vietato ciò che Dio e il suo messaggero hanno vietato, e coloro fra quelli che hanno ricevuto la Scrittura che non si attengono alla religione vera.  O voi che credete! Che cosa avete che quando vi si invita dicendo: lanciatevi in battaglia sulla via di Dio, rimanete come attaccati alla terra? Preferite la vita terrena alla vita dell’Oltre? Ma la vita terrena a confronto alla vita dell’Oltre è poca cosa. Se voi non lo [Muhammad] assisterete, Dio lo ha già assistito quando i miscredenti lo cacciarono, e lui aveva un solo compagno [Abu Bakr], e quando erano nella caverna e diceva: non preoccuparti, Dio ci aiuta. E Dio fece scendere su di lui la sua presenza e lo rafforzò con una schiera di angeli, e sminuì la parola di quelli che non credevano ed esaltò la sua parola, perché Dio è potente, e sapiente.  Lanciatevi dunque in battaglia, mettete a disposizione i vostri beni e la vostra vita sulla via di Dio. Questa è la cosa più utile che ora potete fare anche se nessuna guerra può dirsi benedetta.

   La guerra di cui si parla, con lo stile apocalittico dell’epopea, è circoscritta allo scontro tra Medina e la Mecca  e il termine “guerra santa” non esiste nel Corano, né nei testi degli hadit, perché per la Letteratura del Corano “nessuna guerra può dirsi benedetta”. Purtroppo sono stati proprio i cristiani a dare rilevanza al termine “guerra santa”  quando, dall’XI secolo, hanno intrapreso delle spedizioni militari con l’intenzione, o con la scusa, di liberare il Santo sepolcro dagli infedeli nonostante gli infedeli [le amministrazioni arabe] abbiano sempre portato il massimo rispetto alla Terra santa dei cristiani [che è Terra santa anche per la cultura islamica] e hanno sempre lasciato aperta la strada a quei pellegrini che volevano visitare i luoghi della Passione di Cristo. Queste tragiche spedizioni militari per fare la “guerra santa” agli infedeli hanno preso il nome di “crociate” e di questo tema ce ne occuperemo – seppure molto marginalmente – nel viaggio del prossimo anno nel “cuore del Medioevo”.

   Questa sera vogliamo lambire la questione della “guerra santa” in modo ironico, per alleggerire il tema [così come abbiamo fatto per alleggerire il tema del “sangue”] e, a questo proposito, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, ci avvaliamo della collaborazione di un personaggio interessante, che dobbiamo conoscere: Giovanni Visconti-Venosta.

   E chi è costui? Giovanni Visconti-Venosta – nato a Milano nel 1831 e  morto, sempre a Milano, nel 1906 – è stato uno scrittore di buona fama e soprattutto, insieme a suo fratello maggiore Emilio [uno dei comandati delle Cinque Giornate di Milano nel 1848], un fervente patriota mazziniano. I racconti di Giovanni Visconti-Venosta sono piacevoli da leggere [fino ai primi anni Sessanta si leggevano a Scuola come compendio alla Storia del Risorgimento] tra i quali va segnalato Lo scartafaccio dello zio Michele e va evidenziato il romanzo Il Curato d’Orobio e poi è necessario mettere in evidenza l’opera autobiografica intitolata Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute 1847-1860 che è una vivace, arguta e significativa cronaca del periodo storicamente decisivo per l’unità d’Italia e Giovanni Visconti-Venosta [lui non lo sa], con la sua opera narrativa, ha contribuito a scrivere quell’articolo della Costituzione [l’art. 5] che dice: «L’Italia una e indivisibile …».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Molte notizie su Giovanni Visconti-Venosta le trovate in rete [c’è più di un sito dedicato a questo personaggio] e poi andate alla ricerca delle sue opere in biblioteca: la lettura dei “Ricordi di gioventù” di Giovanni Visconti-Venosta fa rivivere una stagione [storica, culturale] alla quale come cittadine e cittadini di questo paese dovremmo essere affezionate e affezionati…

   Leggiamo [per concludere] un frammento dai Ricordi di gioventù in cui l’autore narra di quando scrisse uno scherzo poetico sul tema de “la partenza del crociato Anselmo” e come questa ballata sia – secondo Giovanni Visconti-Venosta in modo incomprensibile – diventata famosa e come il personaggio di Anselmo abbia avuto un emblematico successo.

LEGERE MULTUM….

Giovanni Visconti-Venosta, Ricordi di gioventù

Sulla fine dell’autunno (1856) scrissi uno scherzo poetico, al quale non è mancata una certa notorietà e che rammenterò qui seguendo l’ordine cronologico della mia narrazione. Eravamo vicini alla riapertura delle scuole, e un giorno una buona donna, che abitava presso la nostra casa di Tirano [in provincia di Sondrio], venne da me conducendo un suo figliuolo ch’era scolaro di ginnasio, credo a Como. La madre mi disse che quel suo figliuolo era tutto mortificato, perché non gli era riuscito di fare uno dei compiti autunnali datigli dal professore: veramente, lo aveva principiato, ma non aveva saputo andare innanzi. Il ragazzo quasi piangeva, e io, lasciandomi intenerire, mi offersi di finirgli quel disgraziato compito. Trattavasi di una poesia, il cui argomento, scelto tra i molti che correvano per le scuole a quei tempi, era: «La partenza del Crociato per la Palestina». Lo scolaretto aveva cominciata la sua poesia così:

Passa un giorno, passa l’altro mai non torna il nostro Anselmo,

perché egli era molto scaltro andò in guerra, e mise l’elmo

Qui s’era fermato. Nel leggere quei versi, mi balenò una tentazione cattiva, ma irresistibile: dissi alla madre e al figlio che ritornassero il giorno dopo, e che la poesia l’avrei finita io. Corsi nel mio studio, ripetei quei quattro versi declamandoli, e il seguito venne da sé.

Passa un giorno, passa l’altro

mai non torna il nostro Anselmo,

perché egli era molto scaltro

andò in guerra, e mise l’elmo

Mise l’elmo sulla testa

per non farsi troppo mal,

e partì, la lancia in resta,

a cavallo d’un caval.

La sua bella che abbracciollo

gli diè un bacio e disse: - Va!

e poneagli ad armacollo [a tracolla]

la fiaschetta del mistrà [acquavite di anice].

Poi, donatogli un anello,

sacro pegno di sua fé,

gli metteva nel fardello

fin le pezze per i pie’.

Fu alle nove di mattina

che l’Anselmo uscia bel bel,

per andare in Palestina

a conquidere [a conquistare] l’Avel [il Santo Sepolcro].

Né per vie ferrate andava

come in oggi col vapor [col treno];

a quei tempi si ferrava

 non la via, ma il viaggiator [si vestiva l’armatura di ferro].

La cravatta in fer battuto,

e in ottone avea il gilè [la corazza].

Ei viaggiava, è ver, seduto,

 ma il cavallo andava a pie’ [povero cavallo con quel peso addosso!].

Da quel dì non fe’ che andare,

andar sempre, andare, andar

quando a pie’ d’un casolare

vide un lago, ed era il mar!

Sospettollo e impensierito

saviamente si fermò.

Poi chinossi, e con un dito

a buon conto l’assaggiò [era acqua salata o no?].

Come fu sul bastimento

ben gli venne il mal di mar;

ma l’Anselmo in un momento

mise fuori il desinar.

           La città di Costantino [Costantinopoli]

nello scorgerlo tremò [faceva così paura il guerriero Anselmo?];

brandir volle il bicchierino [un bicchierino di cordiale per riaversi],

ma il Corano lo vietò [l’uso di alcolici è vietato dal Corano].

Il sultano in tal frangente

mandò il palo ad aguzzar,

ma l’Anselmo previdente

fin le brache avea d’acciar [mutande d’acciaio per evitare l’impalamento].

Pipe, sciabole, tappeti,

mezzelune, jatagan [scimitarre],

odalische, minareti,

già imballati avea il Sultan [imballati e messi in salvo].                         

Quando presso ai Salamini [gli abitanti di Salamina nell’isola di Cipro]

sete ria [terribile] incominciò,

e l’Anselmo coi più fini [coi compagni più astuti]

prese l’elmo, e a bere andò.

Ma nell’elmo, il crederete?

c’era in fondo un forellin

e in tre dì morì di sete

senza accorgersi il tapin [sopraffatto da un evento più grande di lui].

Passa un giorno, passa l’altro,

mai non torna il guerrier,                             

perch’egli era molto scaltro,

andò in guerra col cimier.

Col cimiero sulla testa,

ma sul fondo non guardò;

e così gli avvenne questa [una bazzecola]

che mai più non ritornò.

Il giorno dopo, quando la madre e il figlio ritornarono, il delitto era consumato. Ascoltai senza rimorso le parole della loro riconoscenza, e consegnai il foglio. Passati alcuni mesi, mentre facevo un esame di laurea all’Università di Pavia, osservai che i professori mi guardavano con una certa curiosità, parlando piano tra loro, e ridendo. Finito l’esame, uno di essi mi accompagnò fuori dicendomi: «Dunquepassa un giorno, passa l’altroè lei l’autore della Ballata?». Allora, in bel modo lo interrogai anch’io alla mia volta, e seppi che aveva avuto il mio Crociato da un suo amico professore a Como; forse il professore di quel famoso studente.

Da quel giorno il Crociato Anselmo peregrinò lungamente a mia insaputa e me lo trovai dinanzi ogni momento, ora diminuito, ora accresciuto, e spesso spropositato.

Per questa ragione, per gli spropositi, cioè, ond’è stato infiorato quello scherzo nelle varie copie e ristampe che ne sono state fatte, lo riproduco in questa nota nel suo testo originale, perché in fatto di spropositi preferisco i miei.

E lo studente? L’anno dopo ebbe un posto in Seminario, divenne prete, e passa un giorno, passa un altro, oggi vive ancora; ma nella sua carriera non andò al di là della prima strofa, come gli era accaduto nel suo componimento poetico.

   Ai primi di aprile dell’anno 628 Muhammad inizia i preparativi per compiere il pellegrinaggio al Santuario della Ka’ba alla Mecca. Quali effetti produce questa decisione: la decisione di andare a casa dei propri nemici a compiere un atto di carattere religioso? Muhammad non farà la fine di Anselmo anche se con questo atto inizia l’ultima stagione della sua vita: ma che cosa succede nel corso di questo pellegrinaggio?

   Per rispondere a questa domanda bisogna continuare a percorrere la via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale che è un bene comune [come la Pace].Per promuovere l’Apprendimento permanente la Scuola è qui e il compito della Scuola è quello di insegnare a “imparare ad imparare”, e anche la “pace” s’impara, e costruttrici e costruttori di pace si diventa. «Se vuoi la pace prepara la pace» scrive [in tempo di guerra-fredda] Giorgio La Pira da Firenze consapevole che l’esercizio dello “studio” è propedeutico a far sì che questa affermazione si concretizzi: noi ne siamo convinte e ne siamo certi.

   E “passa un giorno, passa l’altro”: il viaggio continua…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 9, 2014